mercoledì 27 agosto 2014

LA ROMA SOGNA UN IMPERO

Lo speciale sulla Serie A uscito ieri su France Football


ROMA SOGNA UN IMPERO

Sostenuti da un’intensa campagna acquisti, dalla prolungazione dei contratti di molti giocatori e dal solido lavoro di base di Rudi Garcia, i Giallorossi si presentano come favoriti di una Serie A che parte il prossimo week-end.

di Antonio Felici, a Roma

Il patto della foresta. Sembra un titolo alla Tolkien, degno di un capitolo del suo celeberrimo Signore degli Anelli. D’altronde, i paesaggi verdeggianti e scoscesi della Stiria si presterebbero a meraviglia, ma nel nostro caso non ci sono sortilegi, folletti o demoni. Solo un gruppo di giocatori e di tecnici, con in testa un uomo chiamato Rudi Garcia. L’idea era semplice: riunire tutta la squadra e lo staff per un grande barbecue, allo scopo di ottenere la più grande coesione possibile. Una variante dell’uscita per il rafting dell’estate 2013, che aveva come slogan un “siamo tutti nella stessa barca” che sgorgava spontaneo come da una sorgente. Proprio là, nel contesto privilegiato e campestre di Stegesbach, non lontano da Bad Waltersdorf, località austriaca dove la Roma ha effettuato una intensa settimana di preparazione, al centro di tutto c’era una cosa soltanto: lo Scudetto. Per agguantarlo, i Giallorossi hanno giurato di fare tutto il possibile – il famoso patto – in un campionato di Serie A che sabato prossimo all’Olimpico li opporrà ad un avversario di primo ordine: la Fiorentina.
Grazie all’eccellente secondo posto della stagione scorsa (comunque a 17 punti dalla Juve), ad una bella campagna acquisti e anche a qualche interrogativo relativo agli attuali campioni in carica, la Roma si presenta sulla griglia di partenza nel ruolo di favorita. “Mi sta bene essere considerato favorito – ha dichiarato Garcia – perché vedo i miei giocatori pronti a raccogliere la sfida. Per quanto mi riguarda, l’aspetto fondamentale era mantenere l’ossatura della passata stagione e rinforzare il gruppo”. I propositi manifestati in Austria dall’ex tecnico del Lille, ripresi in coro dai componenti della squadra, testimoniamo dell’entusiasmo che si respira nel gruppo, un entusiasmo che di solito è il marchio di fabbrica dei tifosi, sempre pronti ad infiammarsi, come hanno dimostrato nel mese di luglio, quando sono accorsi a centinaia all’aeroporto di Fiumicino per accogliere i nuovi arrivati.

PIU’ DI 28 MILIONI PER ITURBE. Il fatto è che i dirigenti romanisti non sono mai rimasti con le mani in mano. Hanno realizzato il più grande colpo di mercato con Juan Manuel Iturbe (21 anni). L’attaccante dell’Hellas Verona sembrava destinato alla Juventus, fino a quando Walter Sabatini, il direttore sportivo della Roma, ha deciso che doveva andare in un altro modo. Pagherà 22 milioni di euro al club veneto (più 2,5 milioni di bonus) e 4 milioni all’agente del giocatore, proprietario di una parte del cartellino, per dirottare l’argentino verso la città eterna. L’operazione è stata la più costosa dell’estate in Serie A, un colossale investimento se si considera che Iturbe – che ha firmato per cinque stagioni a 1,5 milioni all’anno, oltre ai premi – non ha mai segnato più di otto gol in un campionato (l’anno scorso col Verona) ed è abituato a giocare soprattutto in contropiede, che non è la principale soluzione di gioco della Roma, abituata soprattutto a tenere il possesso della palla. Ma Garcia e Sabatini credono molto in lui e alla sua capacità di dare un apporto decisivo all’efficacia offensiva necessaria ai Giallorossi per conquistare un titolo che gli sfugge dal 2001.
Ma i romani non si sono fermati qua. Consapevole che la squadra aveva bisogno di un rinforzo di peso sulla fascia sinistra, Sabatini ha puntato su un uomo d’esperienza come Ashley Cole (33 anni, Chelsea). Allo scopo di offrire a Rudi Garcia maggiori soluzioni nella rotazione degli uomini a centrocampo, ha quindi ingaggiato Seydou Keita (34 anni, Valencia) e Urby Emanuelson (28 anni, Milan). Questi tre giocatori sono arrivati a parametro zero e la Roma non ha dovuto sborsare un solo euro per acquistarli. Inoltre li ha fatti firmare a condizioni ragionevoli: 2,3 milioni di euro all’anno fino al 2016 per il difensore inglese, un milione di euro ciascuno per una stagione per il maliano e l’olandese: sulla carta ottimi affari. Come quello del prestito oneroso (2 milioni di euro con l’opzione di riscatto a 6 milioni) di Davide Astori (27 anni) in arrivo dal Cagliari e soffiato alla detestata Lazio. I romani si aspettano molto anche dal turco Salih Uçan (20 anni), prestato dal Fenerbahce per due stagioni in cambio di 4 milioni di euro con opzione di riscatto a 11 milioni.

GRANDI BONUS PER PJANIC. Il tecnico francese ha anche chiesto ai suoi dirigenti un grosso sforzo per tenere gli elementi chiave dell’eccellente stagione 2013-14. In primo luogo il funambolico Gervinho, il vero uomo in più dello scorso campionato, che ha visto migliorare il suo contratto (da 2,3 a 2,9 milioni a stagione), allungato al 2017. Il che ha permesso di rendere nulla una precedente clausola rescissoria da 20 milioni. Se l’attaccante ivoriano all’inizio aveva considerato la possibilità di un trasferimento, Rudi Garcia non ne ha voluto nemmeno parlare, tanto lo considera fondamentale. I romani hanno anche allungato il contratto del greco Vasilis Torosidis fino al 2018. Ma soprattutto sono riusciti a trattenere Miralem Pjanic, giocatore per il quale, agli occhi dei tifosi, valeva la pena di fare ogni sforzo. Il regista bosniaco sarebbe andato a scadenza di contratto a giugno e la corte serrata dei grandi club europei, PSG in testa, ha fatto tremare i supporter della lupa. Per rassicurarli, i dirigenti hanno sottoposto a Pjanic un nuovo accordo con scadenza 2018 che prevede uno stipendio base di 2,9 milioni di euro, oltre ad una serie di bonus che potrebbero portarlo a guadagnare fino a 4 milioni. Ai dirigenti ora non resta che occuparsi dei contratti di Douglas Maicon e Alessandro Florenzi. Il vero caso spinoso è stato quello di Mehdi Benatia che ha rifiutato l’adeguamento del contratto (da 1,2 a 2,5 milioni di euro) ed ha firmato per il Bayern. A sostituirlo è stato chiamato Kostas Manolas (Olympiakos).

LE AMBIZIONI DI PALLOTTA. Come si vede, la Roma non ha lesinato risorse economiche per puntare allo scudetto. Il direttivo del club (l’amministratore delegato Italo Zanzi, il direttore generale Mauro Baldissoni e il direttore sportivo Walter Sabatini) non ha fatto altro che rispondere alle attese del proprietario del club, l’italo-americano James Pallotta, alla testa della Roma da gennaio 2012. Questi ha imposto un cambio di marcia, come dimostra la campagna acquisti, ma anche l’acquisto della quota residua della società – 30% delle azioni alla cifra di 33 milioni di euro – ancora in possesso della banca Unicredit. Pallotta crede fortemente nel suo progetto e vede lontano. Ha deciso di costruire un nuovo stadio a Tor di Valle che conterrà anche la nuova base operativa della Roma, oltre ad un’ampia area commerciale. L’obiettivo è che tutto sia pronto entro il 2016. Anche se la burocrazia rischia di rivelarsi, su questo terreno, un avversario tanto coriaceo quanto la Juventus sulla strada del titolo.

martedì 26 agosto 2014

L'ANALISI - CONTE SUPER CT TRA LUCI E TANTE INCOGNITE

Il pezzo uscito su Betting Press del 26 agosto 2014

martedì 12 agosto 2014

L'ANALISI - CON TAVECCHIO PRESIDENTE REGNERA' LO STATUS QUO

Il mio pezzo sull'elezione di Tavecchio uscito su Betting magazine.
Nel numero dello scorso 29 luglio avevo dedicato una riflessione sul caso Tavecchio e sull’imminente elezione del nuovo presidente della FIGC. Ricordando l’efficace titolo di un libro di successo del collega americano Freedman, “Ammazziamo il Gattopardo”, mi ero permesso di pronosticare che ai gattopardi del calcio non sarebbe stato fatto neppure il solletico. Purtroppo è andata proprio così. L’elezione di Tavecchio, in sostituzione del dimissionario Abete, ha un preciso significato: cambiare il minimo indispensabile affinché tutto resti come prima. Nessuno tocchi lo status quo, insomma. Molti osservatori, non solo italiani, hanno sottolineato come fosse del tutto inopportuno candidare alla massima carica calcistica un dirigente incappato nella clamorosa gaffe di “Optì Pobà”. Avevano ragione, sono pienamente d’accordo. In un paese con grado medio di civiltà a Tavecchio dopo la sparata razzista sarebbe stata tolta la candidatura e pure l’eterna poltrona di presidente dei dilettanti. Il tutto senza discussioni, come dire ipso facto. Eppure, troppi colleghi giornalisti, soprattutto quelli lontani dal mondo dello sport, hanno dedicato troppo spazio ed attenzione alla frase razzista di Tavecchio, senza riflettere un momento su ciò che si nasconde dietro quella sparata e, più in generale, dietro la sua elezione. In estrema sintesi, c’è la ferrea volontà della stragrande maggioranza dei presidenti dei club italiani di continuare a fare i loro interessi esattamente come fanno ora. Il neo presidente un po’ per il pedigree da vecchio democristiano un po’ per qualche scheletro nell’armadio, rappresenta uno straordinario uomo di facciata. A manovrare dietro i grandi camerlenghi, Lotito e Galliani su tutti. I quali spingeranno perché venga data in pasto all’opinione pubblica una bozza di riforma del calcio italiano, purché non vengano messi in discussione certi capisaldi: lotta senza quartiere per accaparrarsi i diritti televisivi, possibilità di fare affari sempre più lucrosi – soprattutto all’estero – con club e famelici procuratori, libertà di possedere più di un club e così via. Insomma, esattamente quello che è stato fatto negli ultimi anni, con i risultati che tutti conosciamo e che sarebbe del tutto superfluo elencare. Non vedo come il calcio italiano possa essere sottratto al suo triste destino grazie all’opera di Tavecchio. Non credo, ad esempio, che sia un dirigente capace di spiegare ai presidenti italiani che è ora di finirla di scannarsi sui diritti televisivi ed è arrivato il momento di fare in modo che questa voce diventi un 30/40 per cento del bilancio dei club, come avviene altrove. Di spiegare agli stessi che per liberarsi dal ricatto delle TV, sviluppando marketing, sponsorizzazioni e business degli stadi, bisognerebbe alzare vertiginosamente la qualità dello spettacolo. Che sarebbe ora di mettere il nostro calcio nelle condizioni di produrre nuovi talenti. Per come siamo ridotti, servirebbe un rivoluzionario. Tavecchio non lo è. Al massimo può gestire l’esistente, dando una botta al cerchio e una alla botte, facendo contento un giorno uno, un giorno l’altro. Del resto è ai vertici federali da qualche decennio. E anche i suoi maggiori sponsor lo sono. Personaggi che, per carità, hanno fatto tante cose buone. Ma qualcuno di loro è anche incappato in qualche clamoroso infortunio come lo scandalo di Calciopoli. Gente, insomma, che ha avuto un ruolo non secondario nella decadenza nella quale ci barcameniamo. Un’ultima considerazione. L’elezione del nuovo presidente della FIGC segna la clamorosa sconfitta di Juventus e Roma. Non parliamo di due squadre qualunque. Attualmente rappresentano il top del calcio italiano. Che governance potrà esserci senza il coinvolgimento delle due società guida? A quante e quali pressioni saranno sottoposti gli arbitri, i giudici sportivi, i procuratori federali? Delle due l’una. O nei prossimi mesi assisteremo ad una guerra che avrà un inevitabile impatto sul campionato. Oppure le qualità democristiane di Tavecchio faranno in modo da tenere a bada i nervosismi di Juve e Roma all’insegna del volemose bene. Comunque vada, la crisi del calcio italiano sembra molto lontana da una soluzione.