venerdì 30 settembre 2011

Il campionato attende ancora il suo vero leader

Pubblicato su Betpress il 27 settembre 2011

Un campionato ancora senza
padroni. O meglio, un padrone ce
l’avrebbe. Ci riferiamo ad una
straordinaria Atalanta che, non
fosse per la penalizzazione con
cui è partita, sarebbe prima in
classifica con due punti di vantaggio
sulle seconde. Tuttavia l’handicap
c’è e occorre tenerne
conto. Accade così che, tra alti e
bassi, nessuna grande abbia
ancora spiccato il volo. Anzi, sono
numerose le squadre che balbettano
vistosamente. All’Inter l’arrivo
di Ranieri ha messo un po’ di
cose a posto. Sappiamo che il
tecnico romano non è un genio
del calcio. Però è uno che sa il
fatto suo, che ragiona col buon
senso e che non ha dovuto faticare
molto per rimettere a posto
quelle due o tre cose perché la
formazione nerazzurra tornasse
ad essere una squadra di calcio
anziché un’armata Brancaleone.
Ci voleva tanto a capire che l’attaccante
di punta della Nazionale,
Pazzini, deve giocare
sempre? Evidentemente no.
Solo che Ranieri c’è arrivato, a
differenza di Gasperini. Con la vittoria
di Bologna non è che l’Inter
torni ad essere la candidata
numero uno per il titolo. Però
almeno può guardare al futuro
con maggiore serenità. Discorso
simile a quello della Roma, per la
quale il successo di Parma vale
oro. Nella passata settimana Luis
Enrique era inevitabilmente finito
nel tritacarne della critica. Un
nuovo insuccesso avrebbe reso
molto difficile il suo lavoro. Invece
domenica sera qualche miglioramento
s’è visto, anche se i giallorossi
sono ancora molto lontani
dal mostrare quello che dovrebbe
essere il loro standard reale. Ma
la classifica è corta e anche loro
possono recuperare. Al pari del
Milan che, nonostante il successo
sul Cesena, appare ancora indietro,
gravato oltre tutto da una
serie innumerevole di infortuni. Lo
stesso Napoli, che si era prodotto
in un inizio brillantissimo, s’è
improvvisamente fermato, complice,
come avevamo ampiamente
previsto, la mente costantemente
rivolta ai prossimi impegni
internazionali. Accade così che
l’unica grande che resiste in testa
sia la Juventus. Ma anche Conte
ha poco da star tranquillo. A
Catania i suoi hanno sofferto troppo.
Ci si chiede cosa potrà accadere
quando i bianconeri se la
vedranno con avversari più forti.

Campionato con quattro grandi subito in difficoltà

Pubblicato su Betpress il 20 settembre 2011

Ma che succede alle grandi?
Questo l’interrogativo che attanaglia
i tifosi di molte delle squadre
che alla vigilia sono state indicate
tra le favorite per la conquista
dei posti migliori della classifica,
a cominciare dallo scudetto. Per
carità, dopo due partite giocate
non è il caso di fare né processi
né consuntivi. Certo è che i supporter
delle milanesi e delle
romane non sono certo felici di
vedere squadre come Juventus
e Napoli (le altre formazioni
accreditate) veleggiare a punteggio
pieno, mentre i loro giocatori
sono stati capaci di racimolare
appena un punto. Il malato
numero uno naturalmente è
l’Inter. Persa la Supercoppa
d’Italia in agosto, rimediata una
pessima figura in Champions, ha
dato vita ad un inizio campionato
ugualmente disastroso, solo in
parte attenuato dal pareggio contro
la Roma, peraltro conseguito
subendo l’iniziativa avversaria
per lunghi tratti del
match. Il problema non è tanto
Gasperini ma chi lo ha assunto. Il
concetto è semplice. Se si assume
un tecnico diventato famoso
per applicare un determinato
modulo, gli si fa una campagna
acquisti coerente e lo si lascia
lavorare. In caso contrario,
meglio assumerne un altro.
L’Inter, insomma, paga le consuete
indecisioni di Moratti.
Diverso il problema del Milan.
Già nella gara contro la Lazio la
squadra ci era apparsa in ritardo,
anche sul piano atletico. Questo
è uno dei due motivi per cui i rossoneri
a Barcellona si sono difesi
e basta (l’altro è la forza del
Barça). A Napoli la situazione
non è cambiata di molto. Alla
lunga il Napoli ha schiantato il
Milan. Senza una condizione fisica
migliore, sarà difficile. Per certi
versi curioso il caso della Roma.
A differenza degli anni scorsi, a
fronte degli scarsi risultati, tifosi,
giocatori e società sono schierati
compatti con l’allenatore Luis
Enrique. Il quale sta provando ad
attuare una rivoluzione tecnicotattica
i cui risultati, come del
resto era facile prevedere, tardano
ad arrivare. Contro l’Inter
miglioramenti si sono visti. Ma
nel calcio vince chi tira in porta e
possibilmente fa gol. In questo
senso per la Roma, come del
resto per le altre, il turno infrasettimanale
rappresenta un test di
fondamentale importanza.

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IL MESTIERE DIFFICILE DELL’ALLENATORE

Pubblicato su TS il 27 settembre 2011



In Italia, più che in altre parti del mondo, fare l’allenatore è difficile. Vanno bene gli schemi, le filosofie di gioco, lo spettacolo e tutto il resto, ma poi se non arrivano subito i risultati sono guai. Al di là del fatto che sia un bene o un male, questa è la realtà. Due storie recenti testimoniano questo fatto. Ci riferiamo a Claudio Ranieri e Luis Enrique.
Gasperini all’Inter ha fallito. Colpa sua? Si, ma solo in parte. La dirigenza nerazzurra era stata ampiamente informata dal nuovo allenatore sul progetto tecnico-tattico che intendeva portare avanti. Eppure, si è guardata bene dal fargli una campagna acquisti in linea con le sue esigenze. Non solo. Quando si sono manifestati i primi problemi, non l’ha sostenuto abbastanza lasciandolo solo di fronte alla critica e all’irritazione dei tifosi. La fine era già scritta. Moratti si è affidato a Claudio Ranieri, egli stesso autodefinitosi un “aggiustatore”. Strano destino quello del tecnico romano. Non ha mai avuto a disposizione squadre veramente in grado di vincere scudetti e coppe. Non lo era il suo primo Valencia, quello che con ritocchi di qualità Benitez portò successivamente alla vittoria della Liga. Non lo era il primo Chelsea di Abramovich. Molti hanno ormai dimenticato che quando Ranieri arrivò a Londra la società non aveva una sterlina in cassa e solo con la cessione del club al magnate russo si cominciarono a vedere i primi campioni. E’ vero, il Chelsea vinse solo dopo l’arrivo di Mourinho, ma la campagna acquisti faraonica di cui godette il portoghese Ranieri non riuscì a sognarla nemmeno nelle sue notti più felici. Vogliamo, poi, parlare della Juventus? Arrivò a Torino, gli chiesero di tornare in Europa e lo scudetto in cinque anni. Lui centrò la Champions al primo colpo e il secondo anno lo cacciarono a calci nel sedere bollandolo come incapace. S’è visto poi la Juventus quanti scudetti ha vinto dopo di lui. Infine la Roma. D’accordo nella passata stagione Ranieri non ha fatto bene. Però l’anno prima, quando subentrò a Spalletti, la totalità dei tifosi sarebbe stata disposta ad erigergli una statua se fosse riuscito, dopo quel disastroso inizio stagione, ad arrivare quarto e centrare la Champions. Arrivò secondo, accarezzando lo scudetto, sfumato solo dopo una disgraziata partita interna contro la Sampdoria. Eppure, questo allenatore da sempre viene etichettato come perdente, scarso, incapace e chi più ne ha più ne metta. La realtà è ben diversa. Ranieri senza dubbio non è un tecnico che fa praticare alle sue squadre un gioco brillante e non è il migliore del mondo. Però è un allenatore che sa il fatto suo, che conosce assai bene i fondamentali, pratica il buon senso e sa anche lavorare sulla psicologia dei calciatori. Uno dei motivi che lo rendono bravissimo a mettere a posto squadre in difficoltà. Soprattutto se grandi. Il risultato dell’Inter a Bologna ne ha dato una fulminea dimostrazione. Magari qualcuno penserà che sia una diminutio. Io, al contrario, penso che sia una specializzazione. Rifletteteci bene. Secondo voi uno che ha allenato Napoli, Valencia, Chelsea, Atletico Madrid, Juventus, Roma e Inter può essere un allenatore scarso? I dirigenti di tutti questi club negli anni hanno tutti manifestato gravi segni di squilibrio? Andiamo!
Storia diversa quella di Luis Enrique. Per certi versi il suo percorso ha rischiato di essere simile a quello di Gasperini. E’ arrivato a Roma da perfetto sconosciuto, si dice raccomandato da Guardiola. Gli è stato affidato un progetto di ringiovanimento del club, che ha un occhio ai bilanci e che possa risultare sportivamente vincente, sia pure in prospettiva. Solo che un certo suo modo di presentarsi a Trigoria con arroganza e supponenza rispetto alle proprie idee aveva subito creato delle difficoltà. Insomma, si muoveva un po’ come un elefante in una cristalleria. Poi c’era la questione dei risultati. Fuori subito dall’Europa League, sconfitta all’esordio in casa col Cagliari, il buon pareggio a Milano con l’Inter e poi il passo falso in casa col Siena. Troppo poco per quella che s’era annunciata come una rivoluzione copernicana. Per fortuna è arrivata la vittoria di Parma che ha riportato un po’ di serenità. Soprattutto Enrique, dopo alcune evidenti sollecitazioni della società, ha ammorbidito i suoi atteggiamenti, è diventato più friendly in conferenza stampa. In un certo modo sta riuscendo a farsi perdonare anche l’inevitabile inesperienza che nessuno può avergli regalato, essendo alla stagione d’esordio come tecnico di una prima squadra. La Roma non gira ancora bene. Il possesso palla paga ancora relativamente, la squadra tira troppo poco in porta e subisce molte occasioni da gol. Eppure la piazza romana, di solito focosa ed impaziente, gli sta dando tempo. Almeno per il momento.

sabato 24 settembre 2011

TUTTI CON LUIS ENRIQUE MA PER VINCERE

Pubblicato su www.paesesera.it il 21 settembre 2011

Il progetto tecnico della nuova Roma prosegue tra luci e ombre. Alcune cose sembravano molto chiare sin dall’inizio. Per esempio che per applicare concretamente una nuova filosofia calcistica, con relativa nuova organizzazione di gioco, serviva tempo. E così sta accadendo. Per fortuna, a partire dall’attenuazione della polemica sul caso Totti, l’intero ambiente giallorosso s’è stretto compatto attorno a Luis Enrique, lasciando ad una parte della critica il compito, peraltro doveroso, di mettere in evidenza le cose che non vanno. A S.Siro contro l’Inter la Roma ha fatto registrare indubbiamente dei progressi. Benché l’avversario fosse a pezzi, non si va in quello stadio a fare la partita per almeno ottanta minuti, costringendolo a difendersi come fosse una provinciale, se non si possiede personalità. Il possesso palla, poi, di per se funziona anche. Solo che non si traduce ancora nella produzione di un sufficiente numero di chiare situazioni da rete. La Roma segna poco non tanto perché gli attaccanti sono appannati e sbagliano gol semplici. Il gol non arriva perché raramente le punte vengono messe nella condizione di battere a rete. Molti hanno fatto notare, ed io tra questi, che i giocatori a volte sembrano più preoccupati di applicare in campo gli insegnamenti tattici di Luis Enrique che di inseguire il gol. Non si spiega altrimenti la tendenza di qualche giocatore, una volta arrivato a ridosso dell’area avversaria, a tornare indietro e ricominciare l’azione invece di cercare l’ultimo passaggio. L’unico a farlo è sempre e comunque Totti il quale, da parte sua, nonostante si applichi con impegno per eseguire in campo la lezione del tecnico, a me sembra ancora piuttosto spaesato. In attesa che l’organizzazione del gioco produca, oltre al possesso palla, anche i gol, credo sia un delitto allontanare progressivamente il capitano dall’area avversaria. Fino a prova contrario resta lui il giocatore della Roma che “vede” di più la porta. Vederlo giocare, come contro l’Inter, sulla linea del centrocampo suona strano e controproducente. In fondo in quella zona del campo non dovrebbero mancare elementi in grado di costruire gioco, Pizarro e Pjanic su tutti. Tuttavia, una cosa è certa: prima o poi il gioco di Luis Enrique qualcosa di concreto lo produrrà. Però occorre sbrigarsi. Prima del derby il calendario offre alla Roma una serie di avversari nettamente inferiori che vanno battuti. Altrimenti a forza di aspettare le altre potrebbero scappare e la stagione sfuggire di mano.

martedì 20 settembre 2011

STASERA PRIMA PUNTATA DI SCOMMETTIAMO? IN ONDA DALLE 23 SU HSE24 - CANALE 37 DEL DT

Stasera primo grande appuntamento con Scommettiamo?, programma settimanale in onda alle ore 23 su HSE24 (Canale 37 del digitale terrestre). Approfondimenti, dibattiti e informazioni sullo sport e le scommesse. Assieme a me in studio Carlo Lazotti, Maria Laura Cruciani. Ospite speciale Rino Tommasi. Vi aspetto numerosi!

domenica 18 settembre 2011

PREGI E DIFETTI DI UNA BUONA LAZIO

Pubblicato su www.paesesera.it il 14 settembre 2011

La buona prova disputata a S.Siro contro il Milan ritengo possa essere presa a modello per capire quello che potrà essere il campionato della Lazio. A mio avviso, infatti, quella partita ha racchiuso tutti i pregi e i difetti della squadra di Reja e può darci la misura di quelle che potranno essere le sue ambizioni. Molti sono i segni positivi. Tanto per cominciare in attacco. Diciamo le cose come stanno: la coppia titolare formata da Klose e Cissé è di assoluto livello internazionale. I due hanno messo a segno altrettanti gol di eccellente fattura, a dimostrazione del fatto che problemi di finalizzazione non ce ne saranno. In porta se l’è cavata bene Bizzarri. A suo tempo avevo insistito sulla bontà della scelta di puntare sul rilancio di Marchetti, estremo difensore non arrivato in Nazionale per caso. L’idea che quando lui non potrà esserci alla sue spalle scalpiti uno come Bizzarri non può che lasciare tranquillo qualsiasi allenatore. Il segno positivo più importante, però, è il collettivo. Esso appare solido e assai ben collaudato. La Lazio anche quando non è brillante sa stare in campo e conserva una sua precisa fisionomia. Questo si deve alla bontà del lavoro di Reja, tecnico navigato, magari “old style” come direbbe qualcuno, ma certamente affidabile.
Semmai, e qui sta uno de segni negativi, in certe occasioni dovrebbe osare di più. Nel secondo tempo, infatti, la squadra si è fatta schiacciare troppo dal Milan. Eppure, nonostante le modifiche tattiche, improntate alla prudenza, la Lazio è riuscita ad essere ugualmente pericolosa. In altri termini, se Reja avesse osato di più avrebbe anche potuto sbancare S.Siro. Per carità, il pareggio è ottimo ed è vero che a voler inseguire la vittoria si sarebbe rischiato di perdere. Ma sta proprio qua il punto. Quando si ha la mentalità da grande squadra, si cerca di approfittare di ogni occasione per vincere. Anche in trasferta, anche contro avversari blasonati. Magari si rischia la sconfitta, ma si prova ad attaccare comunque. Io credo che se l’allenatore, una volta sostituito Klose, avesse evitato di lasciare Cissé a fare l’unica punta e di collocare Hernanes sulla fascia, magari inserendo un altro attaccante fresco, il colpo sarebbe potuto arrivare. In fondo uno dei difetti della Lazio dello scorso campionato è stato proprio questo. Contro le grandi si è sempre accontentata, ha sempre avuto un timore reverenziale. Avesse buttato, almeno qualche volta, il cuore oltre l’ostacolo, avrebbe ottenuto certamente di più. Reja penserà che sono tra quelli che lui considera incontentabili, magari anche rompiscatole. Forse è vero. Ma solo pensando in grande si ottengono grandi risultati. Una filosofia che dovrebbe accomunare, nei miei sogni, i due club della capitale.
Tra i pochi segni negativi di questa Lazio di inizio stagione ci sono i ricambi. Il reparto difensivo avrebbe bisogno forse di maggiore qualità, soprattutto in panchina. Dopo la partenza di Zarate, il discorso è esteso l’attacco. Li però non si tratta tanto di carenze tecniche ma anagrafiche. Non sappiamo quante partite potrà giocare Klose. Rocchi come unico ricambio di rango, vista l’età, ci sembra poco. Nonostante la squadra conservi un impianto altamente efficace, l’assenza di sostituti di livello, magari nella fase decisiva della stagione, potrebbe influire sul rendimento del collettivo. Ma non è il caso di fasciarsi la testa prima del tempo. L’inizio di stagione biancoceleste rimane assai lusinghiero.

LO SCUDETTO ATTENDE ANCORA IL MILAN

Pubblicato su TS il 6 settembre 2011


Una volta archiviata la pausa per la Nazionale e la spiacevole questione dello sciopero dei calciatori, il tormentato campionato di serie A potrà finalmente cominciare. Stavolta più che mai appassionati ed addetti ai lavori non vedono l’ora che si giochi, lasciando da parte chiacchiere e polemiche. Il rinvio della prima giornata ha avuto almeno il vantaggio di consentire alle squadre di presentarsi all’appuntamento col campo a calciomercato chiuso, quindi a ranghi completi. A nostro avviso in chiave scudetto la squadra da battere è una sola: il Milan. La squadra di Allegri è ampiamente collaudata. Con qualche piccolo ritocco in sede di mercato la rosa è ormai definitivamente completa. L’arrivo di Philippe Mexès consente al tecnico di disporre di un’alternativa di altissimo profilo al centro della difesa. L’ingaggio di Aquilani, poi, a livello tecnico restituisce al centrocampo quel quid venuto a mancare con la cessione di Andrea Pirlo. Visti i valori che esprimerà quest’anno la serie A, l’attacco risulta di livello assoluto. Dopo la partenza di Eto’o, Ibrahimovic è praticamente l’unica stella rimasta nel nostro campionato. La coppia brasiliana formata da Pato e Robinho garantisce gol e qualità e, come rincalzo, risulta ancora a disposizione quell’Antonio Cassano che rimane l’uomo di punta dell’attacco della Nazionale. Con un organico di questo livello ed un’organizzazione di gioco che non ha bisogno di messe a punto il Milan è in grado di vincere il campionato a spasso. La questione semmai è capire se una siffatta rosa potrà ben figurare in Champions League. La sensazione è che nella massima competizione europea il Milan resti dietro i top club, quelli che si contenderanno la vittoria finale. Ma questo soltanto il campo potrà confermarlo o smentirlo.
La seconda fila di un’immaginaria griglia di partenza vede, più o meno appaiati, Inter e Napoli. Sulla formazione nerazzurra gravano troppe incognite perché la si possa considerare allo stesso livello del Milan. Tanto per cominciare bisognerà capire se Gasperini sarà all’altezza del compito. Le prime uscite stagionali hanno dimostrato che la sua impostazione tattica, nella fattispecie la difesa a tre, si adatta poco alle caratteristiche dell’Inter. Non siamo in grado di dire se il pur bravo tecnico sarà in grado di trovare il giusto equilibrio. La partenza di Eto’o, inoltre, rappresenta una perdita grave. Non tanto sul piano strettamente tecnico. Gli arrivi di Forlan e Zarate potrebbero anche ovviare alla sua assenza. Si tratta più che altro di un problema psicologico. La sua cessione, oltre a quella ventilata ma non realizzata di Sneijder, ha fatto capire ai tifosi che sono finiti i tempi delle spese folli e che anche il presidente Moratti si prepara ad aderire alle rigide regole del fair play finanziario. In altre parole, si comincia a respirare aria di ridimensionamento, il che non agevola il compito di tecnico e calciatori. Il Napoli, per contro, si è rafforzato. Oltre a conservare i suoi pezzi migliori, Cavani su tutti, ha puntellato adeguatamente la rosa con innesti interessanti come quello di Inler. Sui partenopei, però, peserà l’incognita Champions League. Il Napoli parteciperà a questa competizione per la prima volta da quando è stata adottata la nuova formula e pagherà sicuramente lo scotto del confronto con forze ben più grandi del panorama internazionale. L’esperienza insegna che questi match tolgono molto soprattutto sul piano psicologico. Bisognerà capire fino a che punto i ragazzi di Mazzarri riusciranno a gestire il doppio impegno. Sul piano tecnico, a nostro avviso, il Napoli vale il secondo posto. Ma se la Champions dovesse distrarlo oltre misura potrebbe lasciare sul terreno punti preziosi.
In terza fila c’è bagarre. Qui collochiamo almeno tre formazioni: Roma, Juventus e Lazio. Tutto sommato riteniamo che tra le tre la Roma abbia qualcosa in più. Nonostante le mille difficoltà, la nuova proprietà americana ha fatto un notevole sforzo sul mercato ed ha messo a disposizione dell’esordiente Luis Enrique una rosa di tutto rispetto che affianca, a calciatori di grande esperienza, una nidiata di giovani talenti. Se il tecnico spagnolo riuscirà ad applicare il suo credo calcistico, magari evitando una certa ruvidezza nei rapporti personali (come dimostrato nel caso Totti), i giallorossi potrebbero agganciare la zona Champions, nel caso in cui una tra Inter e Napoli dovesse steccare. Ci sembra più complicato il cammino della Juventus. Per carità, dal mercato sono arrivati calciatori di livello assoluto come Pirlo e Vucinic. La rosa, però, paga due stagioni di grandi rivoluzioni e sono tanti i giocatori in esubero. Inoltre, bisognerà vedere cosa sarà capace di fare Antonio Conte. Sul piano del carattere e della preparazione è un tecnico che non si discute. E’ un uomo da Juve. Tuttavia, non sarà semplice imporre il suo 4-2-4, un modulo assai rischioso da adottare e che, almeno in teoria, vista la necessità di schierare molti elementi offensivi, mal si concilia con la sua idea di squadra, fatta di lotta e di sudore. Quanto alla Lazio, anche quest’anno è una squadra più che buona. Gli arrivi di attaccanti esperti e di buon livello internazionale come Cissè e Klose garantiscono un salto di qualità. La cessione di Zarate, però, toglie molto alle possibilità di ricambio nel reparto offensivo, eccessivamente anziano.
Per il resto spazio alle solite outsider che appaiono complessivamente indebolite. L’Udinese perché priva del gioiello Sanchez, passato al Barcellona. Il Palermo perché orfano di Pastore e già alle prese, ancor prima di cominciare, con l’ennesimo esonero deciso dal turbolento Zamparini. La Fiorentina perché ormai da tempo il club gigliato ha abbandonato i sogni di grandezza e il tecnico Mihajlovic non rappresenta una garanzia, anche a causa del suo pessimo feeling con la tifoseria.

ROMA: A MILANO 0-0 IN CHIAROSCURO

Alla vigilia avevo pronosticato un pareggio in Inter-Roma e pareggio è stato. Avevo anche detto che sarebbe stato un risultato da salutare con soddisfazione. Lo penso ancora. Solo che, considerando quello che si dice di Luis Enrique e la sorprendente formazione schierata ad inizio partita (di fatto un 2-5-3), mi aspettavo molto di più sul piano del gioco e dello spettacolo. Intendiamoci: non mancano le note positive. Andare a S.Siro e mantenere per quasi tutta la gare dai sei agli otto uomini nella metà campo avversaria è un grande segnale. Anche perché consente di avviare la fase difensiva già dalla trequarti avversaria. Anche sul piano dei singoli s'è visto qualcosa di buono. Su tutti Kjaer, che già rappresenta una sicurezza ed ha salvato il risultato in una occasione, e De Rossi che partita dopo partita sta tornando quello che conoscevamo. Tuttavia, tutto quel possesso palla, quella grande massa di uomini a centrocampo e nella trequarti avversaria non ha prodotto un numero sufficiente di occasioni da gol. Non solo. A tratti il fraseggio della Roma è sembrato sterile e noioso. Va bene tenere il pallone ma se poi non si libera mai l'uomo al tiro è tutto inutile. Poi c'è la questione Totti. Si può anche decidere di farlo giocare venti metri indietro (a S.Siro sono stati spesso anche quaranta!) ma poi la palla dentro chi la mette? E' giusto continuare a tenere lontano dalla porta l'unico che ha dimostrato di non perdere mai il fiuto del gol? In definitiva, contro un'Inter veramente inguardabile la Roma ha fatto un passo in avanti rispetto a Cagliari. Ma siamo ancora molto lontani dalla squadra che ci aspettavamo.

domenica 11 settembre 2011

PROGETTO ROMA IN ALTO MARE

Le difficoltà di questo inizio stagione della Roma non mi sorprendono affatto. In fase di pronostico avevo indicato in due o tre mesi in tempo necessario perché un tecnico nuovo e senza esperienza, come Luis Enrique, possa cominciare a realizzare le sue idee avendo a disposizione una rosa profondamente rinnovata come quella attuale. Certo è che la sconfitta patita oggi contro il Cagliari forse va oltre le peggiori aspettative. Naturalmente non mancano le attenuanti. Il caldo, l'arbitraggio discutibile e così via. Però dell'attesa organizzazione di gioco di Luis Enrique ancora non avverte nessuna traccia. Se non un notevole ma sterile possesso palla. La Roma attuale crea poche occasioni da gol, tira poco in porta, i calciatori stranamente non fanno un grande movimento senza palla. In compenso, non mancano le solite amnesie difensive, come quella di Josè Angel, peraltro il migliore in campo prima del gol provocato e dell'ingiusta espulsione. Qualcosa di buono s'è anche visto. Ma solo a livello dei singoli. Angel, ad esempio, deve ancora imparare molto della fase difensiva ma si vede che ha grandi qualità. Pjanic, buttato nella mischia forse in maniera affrettata, ha mostrato numeri importanti. Il fatto è che la Roma ancora non impressiona sul piano collettivo. Servirà ancora molto tempo per capire quale sarà la vera squadra cui ha pensato Luis Enrique. Intanto, però, le dirette concorrenti hanno cominciato subito a marciare spedite.

venerdì 9 settembre 2011

LO SCUDETTO ATTENDE ANCORA IL MILAN

Pubblicato su TS il 6 settembre 2011


Una volta archiviata la pausa per la Nazionale e la spiacevole questione dello sciopero dei calciatori, il tormentato campionato di serie A potrà finalmente cominciare. Stavolta più che mai appassionati ed addetti ai lavori non vedono l’ora che si giochi, lasciando da parte chiacchiere e polemiche. Il rinvio della prima giornata ha avuto almeno il vantaggio di consentire alle squadre di presentarsi all’appuntamento col campo a calciomercato chiuso, quindi a ranghi completi. A nostro avviso in chiave scudetto la squadra da battere è una sola: il Milan. La squadra di Allegri è ampiamente collaudata. Con qualche piccolo ritocco in sede di mercato la rosa è ormai definitivamente completa. L’arrivo di Philippe Mexès consente al tecnico di disporre di un’alternativa di altissimo profilo al centro della difesa. L’ingaggio di Aquilani, poi, a livello tecnico restituisce al centrocampo quel quid venuto a mancare con la cessione di Andrea Pirlo. Visti i valori che esprimerà quest’anno la serie A, l’attacco risulta di livello assoluto. Dopo la partenza di Eto’o, Ibrahimovic è praticamente l’unica stella rimasta nel nostro campionato. La coppia brasiliana formata da Pato e Robinho garantisce gol e qualità e, come rincalzo, risulta ancora a disposizione quell’Antonio Cassano che rimane l’uomo di punta dell’attacco della Nazionale. Con un organico di questo livello ed un’organizzazione di gioco che non ha bisogno di messe a punto il Milan è in grado di vincere il campionato a spasso. La questione semmai è capire se una siffatta rosa potrà ben figurare in Champions League. La sensazione è che nella massima competizione europea il Milan resti dietro i top club, quelli che si contenderanno la vittoria finale. Ma questo soltanto il campo potrà confermarlo o smentirlo.
La seconda fila di un’immaginaria griglia di partenza vede, più o meno appaiati, Inter e Napoli. Sulla formazione nerazzurra gravano troppe incognite perché la si possa considerare allo stesso livello del Milan. Tanto per cominciare bisognerà capire se Gasperini sarà all’altezza del compito. Le prime uscite stagionali hanno dimostrato che la sua impostazione tattica, nella fattispecie la difesa a tre, si adatta poco alle caratteristiche dell’Inter. Non siamo in grado di dire se il pur bravo tecnico sarà in grado di trovare il giusto equilibrio. La partenza di Eto’o, inoltre, rappresenta una perdita grave. Non tanto sul piano strettamente tecnico. Gli arrivi di Forlan e Zarate potrebbero anche ovviare alla sua assenza. Si tratta più che altro di un problema psicologico. La sua cessione, oltre a quella ventilata ma non realizzata di Sneijder, ha fatto capire ai tifosi che sono finiti i tempi delle spese folli e che anche il presidente Moratti si prepara ad aderire alle rigide regole del fair play finanziario. In altre parole, si comincia a respirare aria di ridimensionamento, il che non agevola il compito di tecnico e calciatori. Il Napoli, per contro, si è rafforzato. Oltre a conservare i suoi pezzi migliori, Cavani su tutti, ha puntellato adeguatamente la rosa con innesti interessanti come quello di Inler. Sui partenopei, però, peserà l’incognita Champions League. Il Napoli parteciperà a questa competizione per la prima volta da quando è stata adottata la nuova formula e pagherà sicuramente lo scotto del confronto con forze ben più grandi del panorama internazionale. L’esperienza insegna che questi match tolgono molto soprattutto sul piano psicologico. Bisognerà capire fino a che punto i ragazzi di Mazzarri riusciranno a gestire il doppio impegno. Sul piano tecnico, a nostro avviso, il Napoli vale il secondo posto. Ma se la Champions dovesse distrarlo oltre misura potrebbe lasciare sul terreno punti preziosi.
In terza fila c’è bagarre. Qui collochiamo almeno tre formazioni: Roma, Juventus e Lazio. Tutto sommato riteniamo che tra le tre la Roma abbia qualcosa in più. Nonostante le mille difficoltà, la nuova proprietà americana ha fatto un notevole sforzo sul mercato ed ha messo a disposizione dell’esordiente Luis Enrique una rosa di tutto rispetto che affianca, a calciatori di grande esperienza, una nidiata di giovani talenti. Se il tecnico spagnolo riuscirà ad applicare il suo credo calcistico, magari evitando una certa ruvidezza nei rapporti personali (come dimostrato nel caso Totti), i giallorossi potrebbero agganciare la zona Champions, nel caso in cui una tra Inter e Napoli dovesse steccare. Ci sembra più complicato il cammino della Juventus. Per carità, dal mercato sono arrivati calciatori di livello assoluto come Pirlo e Vucinic. La rosa, però, paga due stagioni di grandi rivoluzioni e sono tanti i giocatori in esubero. Inoltre, bisognerà vedere cosa sarà capace di fare Antonio Conte. Sul piano del carattere e della preparazione è un tecnico che non si discute. E’ un uomo da Juve. Tuttavia, non sarà semplice imporre il suo 4-2-4, un modulo assai rischioso da adottare e che, almeno in teoria, vista la necessità di schierare molti elementi offensivi, mal si concilia con la sua idea di squadra, fatta di lotta e di sudore. Quanto alla Lazio, anche quest’anno è una squadra più che buona. Gli arrivi di attaccanti esperti e di buon livello internazionale come Cissè e Klose garantiscono un salto di qualità. La cessione di Zarate, però, toglie molto alle possibilità di ricambio nel reparto offensivo, eccessivamente anziano.
Per il resto spazio alle solite outsider che appaiono complessivamente indebolite. L’Udinese perché priva del gioiello Sanchez, passato al Barcellona. Il Palermo perché orfano di Pastore e già alle prese, ancor prima di cominciare, con l’ennesimo esonero deciso dal turbolento Zamparini. La Fiorentina perché ormai da tempo il club gigliato ha abbandonato i sogni di grandezza e il tecnico Mihajlovic non rappresenta una garanzia, anche a causa del suo pessimo feeling con la tifoseria.

TOTTI SPEGNE LE POLEMICHE ADESSO PARLI IL CAMPO

Pubblicato su www.paesesera.it il 7 settembre 2011


Francesco Totti non è un giocatore della Roma. Francesco Totti è la Roma. I tanti tifosi o addetti ai lavori che ancora faticano ad accettare questa realtà indubitabile vadano sul sito del capitano e si soffermino, in particolare, su questo passaggio: “Avremo tanti calciatori nuovi e tutti quanti noi dovremo stringerci attorno al nuovo allenatore, alla squadra e alla società per partire nella maniera migliore. Lo faremo assieme e con un unico obiettivo, la Roma, di cui proprio io sono il primo tifoso.” Con queste parole Totti mette la parola fine, almeno da parte sua, alla pericolosa polemica che ha imperversato sin dall’inizio ufficiale della stagione. Mi sembrano frasi molto pesanti che segnano un’apertura di credito decisiva nei confronti della società e di Luis Enrique. Il contributo più importante all’attenuazione di un conflitto che rischiava di strozzare nella culla il nuovo progetto della Roma. Io credo che Totti non fosse per niente obbligato a fare questo passo. Il pericoloso triangolo Totti-Baldini-Luis Enrique non l’aveva creato lui. Tutto è cominciato da un’intervista del dirigente giallorosso (quella del “pigro” per intenderci), al quale non ha fatto seguito un tempestivo chiarimento, e da un paio di scelte tecniche dell’allenatore che i più indulgenti hanno giudicato a dir poco autolesionistiche. Lui si era limitato a lasciare il campo contro lo Slovan senza soffermarsi in panchina, chiudendosi in un rigoroso – quanto sacrosanto - silenzio. Sabatini aveva invitato Francesco a far sentire la sua voce. Il capitano ha risposto alle attese della società lasciando intendere a chiare lettere che, da primo tifoso e da simbolo del club, è disposto a mettersi a disposizione del tecnico e a fare da chioccia ai giovani arrivati, lasciando da parte ogni interesse egoistico. Un discorso da autentico leader. D’altronde nei giorni scorsi, con una sintesi molto efficace, Alessandro Del Piero, antico amico/rivale di Totti, aveva affermato una grande verità: Francesco non è il problema, è la soluzione. La più efficace delle soluzioni a disposizione della Roma, aggiungo io. Almeno fino a quando i vari Bojan, Lamela, Osvaldo o Borini non avranno dimostrato di essere più forti e carismatici di lui.

Grazie al comunicato di Totti ora Luis Enrique, almeno per un po’, potrà lavorare tranquillo. Dio solo sa quanto ne avrà bisogno. Date per scontate le sue indubbie qualità, testimoniate da tutti i giocatori che stanno lavorando con lui, avrà bisogno di tempo per forgiare la nuova Roma. Molte pedine fondamentali, infatti, sono andate via, sostituite da parecchi giocatori giovani e di grande prospettiva. Non basteranno un paio di partite per dare vita alla nuova organizzazione di gioco, mandando a memoria i nuovi meccanismi, ed assorbire la filosofia innovativa da lui proposta. In questi casi, come l’Europa League dimostra ampiamente, gli incidenti di percorso, soprattutto all’inizio, sono possibili. Con la nuova Roma servirà pazienza. Credo che saranno necessari almeno due o tre mesi per andare a regime e per capire dove potrà arrivare davvero. Partire tra mille polemiche già alla prima di campionato avrebbe avuto esiti disastrosi. Con Totti dalla sua, invece, Luis Enrique potrà permettersi anche qualche stecca iniziale, purché finalizzata alla creazione di una squadra bella e vincente. La rosa di qualità la società gliel’ha messa a disposizione. Adesso sta a lui dimostrare di essere il nuovo Guardiola.

giovedì 1 settembre 2011

LA ROMA CHIUDE COL BOTTO ALLA LAZIO MANCA ZARATE

Pubblicato su www.paesesera.it l'1 settembre 2011

Archiviata finalmente la lunga finestra di mercato estiva, possiamo tentare una valutazione definitiva delle campagne di rafforzamento delle squadre romane in vista dell’inizio del campionato.
Con un colpo di reni finale la Roma ha messo un segno decisamente positivo davanti al proprio mercato. Se fino a lunedì i movimenti posti in essere da Sabatini apparivano insufficienti e si temeva che qualche pezzo pregiato, Borriello in testa, potesse partire, alle 19 di ieri il saldo finale ha cambiato segno, grazie soprattutto agli arrivi di Gago, Pjanic e alla definitiva soluzione del caso Kjaer. Diciamo subito che, a conti fatti, il saldo tra entrate e uscite è negativo per oltre quaranta milioni di euro. Questa la cifra che, al netto dei capitali serviti per coprire il forte indebitamento che gravava sulla società, la nuova proprietà ha messo sul piatto per rifondare la squadra. Non saranno le somme che avrebbe potuto garantire qualche sceicco arabo o certi magnati russi ma, visti i tempi, non ci si può proprio lamentare. Quando si deve rinnovare così tanto una rosa e, al tempo stesso, stare attenti ai bilanci, non è per niente facile aumentare il valore tecnico complessivo dei giocatori disponibili. La Roma attuale a noi non sembra meno forte di quella dello scorso anno. In porta con l’arrivo di Stekelenburg è stato fatto un balzo in avanti. L’olandese garantisce prestazioni di ben altro livello rispetto ai Doni o ai Julio Sergio. In difesa la perdita di Mexès è stata grande ma l’arrivo di Kjaer offre sufficienti garanzie per il rimpiazzo e il vecchio Heinze rappresenta un jolly da utilizzare in più ruoli. Josè Angel è forse il miglior esterno difensivo di prospettiva in circolazione e crediamo non farà rimpiangere per niente Riise. Solo sulla corsia laterale destra non si è mosso niente, mentre sarebbe servita un’alternativa valida a Cassetti e Cicinho. A centrocampo si innesti sono di qualità. Rispetto alla scorsa stagione c’è un Brighi in meno e la coppia Gago-Pjanic in più. L’argentino non è reduce da campionati da protagonista ma, pur senza entusiasmare, in una rosa di qualità ci sta molto bene. Quanto a Pjanic, anche se nel Lione non era titolare inamovibile, è pur sempre un centrocampista tecnico di grande prospettiva. In attacco, poi, Luis Enrique avrà problemi di abbondanza. Almeno sulla carta, saranno in tre a contendersi il ruolo di centravanti: Totti, Borriello e Osvaldo. Anche se quest’ultimo all’occorrenza potrà andare a fare compagnia a Lamela, Bojan e Caprari sulle corsie laterali. Se un appunto si può fare a Sabatini è quello di avere preso un attaccante centrale, quando forse sarebbe servito un altro laterale. Ma su questo punto il direttore sportivo condivide la responsabilità con Luis Enrique. A proposito del tecnico spagnolo, va detto che per essere alla sua prima esperienza da allenatore vero si ritrova tra le mani una rosa di tutto rispetto. Sta a lui, ora, ricavare il massimo da un gruppo di giocatori molto interessante. Evitando di darsi la zappa sui piedi con certi approcci eccessivamente ruvidi, come nei casi Totti e Borriello. Voto alla campagna acquisti della Roma: 7.
Diciamolo francamente: se ci fossimo espressi a ventiquattro ore dalla fine del mercato, avremmo detto che la Lazio si era mossa meglio rispetto alla Roma. Le dismissioni di ieri hanno cambiato tutto. Ma partiamo dall’inizio. A suo tempo avevamo già scritto che Lotito si era mosso alla grande sul mercato, costruendo una rosa sì vecchia ma di grande qualità. Ribadiamo, ad esempio, che Marchetti è una scommessa che quasi certamente la Lazio vincerà. Inoltre, Konko, Lulic e Stankevicius hanno puntellato una difesa già di per se affidabile. Il centrocampo è rimasto essenzialmente immutato ma rimane forte sia negli uomini di quantità (Ledesma e Brocchi) che in quelli di qualità (Hernanes e Mauri). In attacco, poi, gli arrivi di gente esperta e di grande spessore internazionale come Klose e Cissé prometteva di far fare alla squadra un salto di qualità. Nelle ultime ore di mercato, però, agendo su preciso mandato di Reja, Lotito ha fatto alcune rinunce che a fine stagione potrebbero pesare. Ci riferiamo innanzitutto a Mauro Zarate. L’attaccante argentino ha evidenti difetti e da tempo era entrato in disaccordo con l’allenatore. Tuttavia, era l’uomo più talentuoso della rosa laziale e, nel poco tempo in cui è rimasto a Formello, era riuscito a diventare un idolo, a tratti anche un simbolo, della tifoseria. L’averlo ceduto all’Inter in prestito con diritto di riscatto rischia di rivelarsi un clamoroso autogol. Se si pensa che, nel frattempo, è stato ceduto anche Floccari e che Makinwa non ha potuto andare al Pergocrema solo per un problema burocratico (dunque per ora rimarrà ma non vedrà mai il campo), si pone un problema. Se Klose o Cissé, giocatori comunque maturi, dovessero andare incontro a seri infortuni chi metterà Reja al loro posto? Gli unici ricambi in panchina rimangono Sculli e Rocchi. Non certo dei giovani virgulti. A parte Kozak, ovviamente. Ci sembra poco. Reja avrà certamente valutato la situazione con attenzione. Tuttavia, essendo stato accontentato da Lotito, se non ripeterà i risultati della passata stagione finirà immediatamente sul banco degli imputati e il suo presidente potrà fare ben poco per salvarlo. Voto al mercato della Lazio: 6.5.

TUTTI I COLPEVOLI DELLO SCIOPERO DEI CALCIATORI

Pubblicato su TS il 30 agosto 2011

Qualche giorno fa ci aspettavamo di poter utilizzare questo spazio per commentare gli esiti della prima giornata del nuovo campionato. Invece dobbiamo soffermarci sulle ragioni del cosiddetto “sciopero” dei calciatori, evento che ha privato milioni di appassionati del tradizionale intrattenimento domenicale. Tutto è cominciato quando, scaduto il contratto collettivo nazionale dei calciatori, i rappresentanti dei club e dei giocatori hanno cominciato a discuterne il rinnovo. Molti i punti sui quali le due parti non si sono trovate d’accordo. Tuttavia, col susseguirsi degli incontri e delle trattative su quasi tutti si è riusciti a trovare un’intesa. Uno solo di essi, identificabile con l’articolo 7, si è rivelato uno scoglio insormontabile. Nella sostanza questo punto stabilisce come debbano essere trattati i “fuori rosa”. Come tutti gli appassionati sanno bene, presi dalla smania di successo sovente i presidenti mettono sotto contratto un numero spropositato di calciatori, talvolta garantendo loro ingaggi eccessivamente elevati. Non solo. Poiché dopo la rivoluzione Bosman i calciatori sono liberi da ogni vincolo, l’unico modo che hanno i club per non farseli strappare dalla concorrenza è concedere loro contratti pluriennali. Accade così che, vuoi per scarso rendimento vuoi per scelte tecniche degli allenatori, alcuni di essi finiscano col diventare inutili e rappresentino un peso economico difficile da sostenere. Il club, quindi, vorrebbero che tutti i calciatori considerati non più utili ai loro progetti possano essere messi fuori rosa, sottoposti ad un regime di lavoro differenziato rispetto agli altri giocatori. L’Associazione Italiana Calciatori, rappresentata dal presidente Damiano Tommasi, si oppone fermamente a questa pretesa. Naturalmente lo fa per affermare il principio che i calciatori sotto contratto devono godere tutti degli stessi diritti. Ma non solo. I calciatori temono che i club possano utilizzare il diverso regime dei “fuori rosa” come strumento di pressione per costringere i calciatori non più graditi a risolvere i loro contratti o quanto meno ad attenuare le pretese, accettando qualunque destinazione individuata dalla società. Per capire meglio il motivo del contendere è sufficiente ricordare il caso Pandev. Il presidente della Lazio Claudio Lotito lo mise fuori rosa perché il giocatore rifiutava il trasferimento ad un club non gradito. Trovandosi emarginato rispetto al gruppo, ritenendo di vedere lesi i propri diritti di calciatore e messo a rischio il suo valore di mercato, Pandev fece causa alla Lazio e, avuta la meglio, riuscì a liberarsi dal club capitolino a parametro zero. Va detto che già diversi mesi fa la situazione stava per precipitare. In seguito, dopo una mediazione del presidente della FIGC Abete, le due parti trovarono un accordo che, almeno sulla carta, sembrava dare garanzie ad entrambi. In seguito, però, al momento della sottoscrizione dell’accordo, la Lega diretta da Maurizio beretta s’è tirata indietro.
Sulla base di questi fatti riteniamo sia alquanto ingiusto additare i calciatori come i responsabili di questa situazione. Basta ragionare un momento per comprendere come le principali colpe ricadano proprio sulle spalle dei club. Se un presidente dilapida risorse preziose per gli ingaggi dei calciatori e se fa sottoscrivere loro improbabili contratti pluriennali è soltanto per vincere la concorrenza di un altro presidente. Se le rose vengono gonfiate fino a trentacinque giocatori la responsabilità non è di questi ultimi ma dei club. Questo problema non si risolverà mai finché non saranno proprio i presidenti a dare vita ad un gentleman agreement per non farsi la guerra l’un l’altro. Stabilendo, ad esempio, alcune semplici regole: rose limitate a 25 giocatori, limite alla durata dei contratti, salary cap e così via. Va detto, però, che anche i calciatori hanno fatto un grande errore. Utilizzando lo sciopero come strumento di protesta sono passati dalla ragione al torto. I calciatori di serie A rappresentano una categoria privilegiata che ha tutti gli strumenti per far conoscere all’opinione pubblica le proprie ragioni. Lo sciopero è una strada sbagliata. L’appassionato di calcio, che poi nella vita comune è un cittadino che fatica come milioni di altri a sbarcare il lunario in tempi difficili come questi, non può concepire una mossa simile. E’ talmente indignato da quelli che sembrano i capricci di bamboccioni viziati da non capire, ad esempio, che il loro non è un vero sciopero. Che la giornata di campionato verrà recuperata e che, dunque, il valore economico sia del loro lavoro che del business ad essa legato non verrà perduto. Che, in definitiva, si tratta solo di un rinvio. La gente comune non comprende tutto ciò. Ecco, l’errore dei calciatori sta proprio in questo: non essere stati abbastanza intelligenti da capire che la protesta andava esplicitata in maniera diversa. Un esempio? Ritardando la discesa in campo di un quarto d’ora oppure obbligando i club ad andare in campo tutti lo stesso giorno e alla stessa ora. Ci voleva tanto?
Dell’ingenuità dei calciatori hanno immediatamente approfittato i presidenti che hanno fatto in modo da far cadere su di loro, agli occhi dell’opinione pubblica, le responsabilità del rinvio. Utilizzando anche una mossa a sorpresa. Sfruttando l’ipotesi su cui sta ragionando il governo di imporre un contributo di solidarietà a chi guadagna cifre superiori a centomila euro, hanno immediatamente inserito, in maniera impropria, questo tema nella trattativa. Un problema in effetti esiste. Da alcuni anni a questa parte, i contratti dei calciatori depositati in Lega riportano come cifre dell’accordo il netto, anziché il lordo come accade per tutti i comuni mortali. Di conseguenza, qualunque modifica alle aliquote, stando così le cose ricadrebbe sulle società. Questo fatto, naturalmente, è inaccettabile. Ai club, però, sarebbe bastato chiedere all’AIC di tornare alla vecchia regola secondo la quale nel contratto del calciatore faceva fede la cifra lorda, non quella netta. Ai tempi dell’ingresso dell’Italia nell’euro, ad esempio, quando il governo Prodi impose una tassa (in seguito in gran parte restituita), i calciatori pagarono quanto di loro competenza. Proprio perché allora i contratti erano conteggiati sul lordo. Basterebbe tornare al passato ed eliminare una stortura ai quali gli stessi club a suo tempo si sono sottoposti senza protestare. Invece hanno sfruttato questo assist involontario giunto dal governo per accusare i calciatori, prima ancora che l’AIC si pronunciasse sull’argomento, di volere scaricare sui club il contributo di solidarietà.
La posizione della Lega risulta discutibile anche per altre ragioni, tutte interne al palazzo. Intanto il fronte dei presidenti non è affatto compatto. Esiste una fronda interna, guidata dal presidente del Cagliari Cellino, che avrebbe evitato volentieri lo sciopero, firmando almeno l’accordo-ponte proposto da Tommasi in extremis. In altre parole, Beretta seguirebbe gli interessi di alcuni grandi club. Inoltre ha fatto impressione l’indifferenza con la quale il presidente della Lega ha accolto Abete e il suo ultimo disperato tentativo di mediazione. I bene informati sostengono che certi club abbiano preso a pretesto lo sciopero dei calciatori per attuare una sorta di regolamento di conti all’interno del palazzo, le cui vittime principali sarebbero proprio Abete e, in seconda battuta, il presidente del Coni Petrucci. Il quale, non a caso, nelle ultime ore ha stigmatizzato non poco il comportamento dei club in questa vicenda. In questi giorni le trattative sono riprese in maniera febbrile e speriamo che il campionato non debba subire ulteriori stop. Ci auguriamo anche che finisca questa sorta di linciaggio nei confronti dei calciatori. Se il calcio italiano vive un inarrestabile declino non è certo loro la colpa. Semmai di qualche testa (poco) pensante che opera o ha operato tra via Allegri e via Rosellini.