martedì 19 luglio 2011

PERCHE’ ABETE E’ PONZIO PILATO

Pubblicato su TS il 19 luglio 2011


Assieme alla consueta ricca copia di TS oggi i lettori in edicola troveranno quotidiani che, soprattutto se sportivi, conterranno commenti e giudizi sulla decisione del Consiglio federale della FIGC: lo scudetto 2006 resta all’Inter. Chiariamo. E’ una decisione si fa per dire. Il tanto contestato titolo rimane al club nerazzurro semplicemente perché, in seguito al parere legale degli avvocati Gentile, Modugno e Gallavotti, la federazione si è dichiarata non competente. Giancarlo Abete poche ore prima ha tenuto a respingere le accuse di avere assunto una posizione pilatesca. Bene, a nostro avviso si sbaglia. Non c’è personaggio della storia recente del nostro sport che più sta incarnando la figura di Ponzio Pilato. Il celebre procuratore della Giudea si “lavò le mani” per evitare problemi di ordine pubblico al governo romano della regione. Abete ha optato per la non competenza perché preoccupato soprattutto di evitare che la FIGC, in occasioni dei quasi certi gradi di giudizio non sportivo, incappi in seri guai, magari in risarcimenti milionari. Per carità, compito di un presidente della federazione è anche quello di preservarla anche in chiave giuridica. Ad Abete, però, rimproveriamo di non avere avuto come stella polare, come imperativo categorico, la giustizia. Non solo la Juventus, ma tutti gli sportivi onesti sullo scudetto del 2006 chiedevano semplicemente giustizia. A chi domandarla se non alla FIGC e ai suoi organi? Ebbene, scopriamo che la nostra federazione non ha la competenza o peggio ancora il potere di revocare un titolo perché ad assegnarlo non è lei medesima, bensì la classifica. Non siamo esperti giuristi, ma francamente una motivazione tanto demenziale non l’avevamo mai sentita. Abete sostiene che lui ha deciso per il rispetto delle regole. Ebbene, noi diciamo che se le cose stanno come lui afferma – e non abbiamo motivo per dubitarne – allora le regole sono idiote. Se una federazione non ha il potere di revocare un titolo ad un club che si è macchiato di comportamenti antisportivi e di illecito che ci sta a fare? Noi crediamo che se esiste un organo federale inquirente come Stefano Palazzi che sulla vicenda si è espresso in maniera chiara, deve esistere un altro organo federale giudicante in grado di esprimersi, nel merito, con un si o con un no. Invece ci hanno risposto: “non spetta a noidecidere”. E a chi allora? Non si sa, non si capisce. Se il Consiglio federale avesse affermato apertamente che lo scudetto doveva rimanere all’Inter, offrendo motivazioni di merito, noi magari avremmo criticato la decisione ma l’avremmo rispettata. La strada che hanno deciso di percorrere, invece, è davvero assurda.
Non è la maniera migliore per mettere fine alla vicenda Calciopoli. L’assegnazione dello scudetto del 2006, infatti, è una vicenda se vogliamo secondaria. La vera questione è che, sulla base delle intercettazioni prodotte dalla difesa di Moggi, l’Inter risulta colpevole come altri club condannati dalla giustizia sportiva, ad esempio Milan o Fiorentina. Ed è l’unico che non ha pagato e non pagherà. Ingiustizia è fatta, scrivevamo l’ultima volta. A questo punto, farà bene la Juventus se deciderà di ricorrere presso il CONI e successivamente presso la giustizia ordinaria. Abbiamo ripetuto fino alla noia che i dirigenti bianconeri con Calciopoli hanno sbagliato e giustamente pagato. Quindi nessuna riabilitazione può esserci per Moggi e compagni, né scudetti restituiti. Però su un punto Andrea Agnelli e compagni hanno ragione: se la Juventus ha pagato, devono pagare anche gli altri colpevoli. In caso contrario non si può parlare di giustizia, né si può sperare di chiudere definitivamente una delle pagine più nere del nostro calcio. Immaginiamo quali tensioni potranno riproporsi in occasione degli scontri diretti tra Juventus e Inter, magari alla prima svista arbitrale. Oppure come verranno accolti i nerazzurri negli stadi italiani dopo avere recitato per anni il ruolo di “club degli onesti”. Il calcio italiano ha perso un’altra, l’ennesima occasione, per ridarsi una dignità. Per aprire un nuovo capitolo in una fase davvero difficile per l’intero movimento. Invece dovremo convivere con i rancori, le sopraffazioni, i veleni. Ci dispiace dirlo perché abbiamo stima della persona e, per certi versi, anche del dirigente. Ma anche stavolta Abete ha dimostrato di avere troppo poco coraggio per fare il presidente in un’epoca tanto dura come quella attuale. Sarebbe l’uomo perfetto se si dovesse gestire un ordinario benessere, vista la sua capacità di non scontentare mai nessuno. Ma il calcio italiano vive momenti che necessiterebbero polso fermo e capacità decisionale. In assenza dei quali non si può che scivolare verso il basso, lentamente ma inesorabilmente.

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