martedì 21 febbraio 2012

Il Real si conferma “re di denari”: alle sue spalle c’è solo il Barça

GLI SPECIALI DI BETPRESS Lo studio annuale “Football Money Manager”

Pubblicato il 21 febbraio su www.betpress.it


I
dati della Deloitte sui fatturati premiano il Napoli, per la prima
volta nella “Top 20”


ITALIA: MALI CRONICI
Il nostro Paese recupera
qualche posizione
e incassa l’ingresso
dei partenopei. Ma resta
eccessiva la dipendenza dalle televisioni e sono troppo scarsi i ricavi
generati dagli stadi





Il Real Madrid si conferma il club più ricco
al mondo. Con 479,5 milioni di euro di fatturato il sodalizio spagnolo
ancora una volta risulta quello con i maggiori ricavi. Alle sue spalle
il Barcellona con una trentina di milioni in meno. Le due big iberiche
continuano a rappresentare l’avanguardia dei Top 20 club europei per
incassi che, da soli, fatturano la bellezza di 4,4 miliardi di euro. Se
si pensa che il valore complessivo della produzione dell’intero calcio
mondiale è valutabile intorno ai 12 miliardi di euro, se ne ricava che
i primi venti club generano oltre un terzo dell’economia mondiale
legata al pallone.

E’ quanto si ricava da “Football Money League”, lo
studio annuale che la Deloitte dedica agli aspetti economici del
calcio, riferito alla stagione 2010-11. L’aspetto che colpisce di più
ad una prima analisi dei dati è che le posizioni tra i grandi club si
sono ormai cristallizzate. Le prime sette caselle, infatti, risultano
occupate esattamente dagli stessi club del 2009-2010. Esattamente come
nell’esercizio precedente, alle spalle dell’inattaccabile duo spagnolo
troviamo il Manchester United - che dopo aver guidato questa classifica
per diverse stagioni ora deve accontentarsi di uno stabile terzo posto
- e a seguire Bayern, Arsenal, Chelsea e Milan. Le new entry sono solo
tre, una delle quali italiana: Borussia Dortmund, Valencia e Napoli. La
performance della società partenopea è degna di particolare attenzione
perché, da quando vengono effettuati questi studi, è presente nella Top
20 per la prima volta. Una bella soddisfazione per il presidente De
Laurentiis.

Alle spalle del blocco delle “grandi” in effetti qualche
movimento c’è stato ma inferiore rispetto al passato. Le variazioni più
vistose riguardano i tedeschi dello Schalke 04, che hanno guadagnato
ben sei posizioni, e quelli dell’Amburgo che ne hanno perse cinque. In
chiave positiva va sottolineata la performance della Roma che, dopo lo
Schalke, è quella che ha guadagnato di più: tre posizioni. In negativo
si distinguono anche Juventus e Lione che hanno invece perso tre
posti.

Il segno della grande stabilità lo troviamo anche nel fatto che
in questa graduatoria sono rappresentate le squadre di appena cinque
paesi. Guidano la classifica le inglesi che raggiungono le sei unità,
una in meno rispetto alla stagione precedente. A seguire le italiane
che sono diventate cinque, in luogo delle quattro abituali. Questi sono
gli unici movimenti che si registrano e li sottolineiamo con piacere
perché segnano un miglioramento della performance complessiva del
nostro calcio. Stabili, invece, la Germania con quattro rappresentati,
la Spagna con tre e la Francia con due. Per questa volta non c’è spazio
per nessun altro movimento calcistico continentale. Preme il Portogallo
col Benfica ma i suoi 102,5 milioni di fatturato sono molto lontani dal
consentire ai lusitani di entrare in classifica.

Le performance dei
singoli club sono riportate nei box riportati in queste pagine. Più in
generale lo studio della Deloitte rappresenta una buona occasione per
valutare lo stato di salute del calcio dei singoli paesi, Italia in
testa. Partiamo dalla questione dei diritti televisivi, elemento senza
il quale, come tutti sappiamo, il calcio moderno andrebbe incontro alla
débacle, soprattutto nei paesi più importanti. L’analisi dei dati
conferma una tendenza nota da tempo: il nostro paese è quello nel quale
i club dipendono maggiormente dai ricavi generati dalle televisioni.
Dal 46% del fatturato relativo al Milan al 64% della Roma, l’Italia
mostra di dipendere dai contratti TV mediamente per il 55,2%, ben oltre
la metà del fatturato. La Roma, tra l’altro, fra tutti i club presi in
esame è quello che riceve in assoluto di più da questa voce. Poco
superiore al 50% è il dato relativo ai club francesi, gli altri stanno
al di sotto. Le inglesi si attestano intorno al 40%, le spagnole poco
più su. In assoluto le società che devono meno alle TV e che si reggono
per lo più sulle proprie forze sono quelle tedesche. Mediamente
ricevono dai contratti televisivi meno del 26% del proprio fatturato.
Una condizione che ne accresce l’indipendenza dal potere dei grandi
gruppi di comunicazione.

Ma allora se non hanno come noi la necessità
di valorizzare al massimo la cessione dei diritti televisivi, come
fanno i club tedeschi a tenere il passo degli altri? Semplice: sono i
numeri uno nello sfruttamento commerciale del loro prodotto.
Sponsorizzazioni, merchandising e ogni genere di attività legata all’
utilizzo del marchio generano molto più della metà del fatturato dei
club tedeschi. Considerando che non sempre il livello tecnico e
spettacolare della Bundesliga è di primissima fascia, i responsabili
marketing del calcio germanico sono dei veri fenomeni. Esattamente il
contrario rispetto ai nostri. I club italiani, infatti, portano a casa
appena il 30% del fatturato dallo sfruttamento commerciale, più o meno
come gli spagnoli. La differenza, però, è che in termini assoluti,
grazie a Real Madrid e Barcellona, gli iberici nel merito producono una
ricchezza enormemente superiore.

Ma c’è di peggio. Dove non abbiamo
proprio rivali (in negativo) è nello sfruttamento degli stadi. I più
bravi, per quanto riguarda questa voce di ricavo, tradizionalmente sono
gli inglesi che in media arrivano ad incassare dalla vendita dei
biglietti e dalle attività commerciali legate agli impianti sportivi il
28% del fatturato complessivo. A seguire ci sono i club spagnoli che
portano a casa un quarto del loro fatturato attraverso gli stadi,
quindi i tedeschi (23%). In coda alla classifica ci siamo noi. Le
cinque società italiane ricavano da questa attività in media appena il
14% dei loro fatturati. Il dato è reso particolarmente sofferente dall’
incredibile caso della Juventus che, almeno prima dell’utilizzo del
nuovo impianto di proprietà, non ha ricavato che l’8% del suo fatturato
dal botteghino e dalle voci connesse. Per fortuna c’è un 19% del Napoli
che evita una figura ancora peggiore. Meglio di noi hanno fatto pure i
francesi che, si sa, non sono dei maestri nel generare reddito tramite
i loro impianti. Eppure un 16% lo hanno portato a casa.

In definitiva,
lo studio della Deloitte dimostra che - se è vero che l’Italia ha dato
segni di risveglio con l’ingresso di un nuovo soggetto forte come il
Napoli nella Top 20 e il recupero di qualche posizione in classifica -
rimane attanagliata da problemi ormai cronici che, col passare degli
anni, altro non fanno che peggiorare. Da tempo i dirigenti del calcio
del bel paese e delle singole società vanno discutendo sulla necessità
degli stadi di proprietà e, di conseguenza, dell’incremento dei ricavi
ad essi connessi. Sta di fatto, però, che questi discorsi rimangono
sinora lettera morta e la situazione non migliora di una virgola. Anzi.
Col passare delle stagioni e delle edizioni del “Football Money
Manager” i segni del malessere economico del nostro calcio non fanno
che manifestarsi con maggiore intensità. La capacità di sfruttare
commercialmente i propri marchi, anche portandoli verso mercati
emergenti come quelli asiatici, se si fa l’eccezione del Milan, risulta
mediamente scarsa. L’impossibilità di ricavare il giusto dalla
frequentazione degli stadi da parte dei tifosi, in aggiunta, schiaccia
il nostro calcio sui ricavi televisivi. Le TV, in altre parole, molto
più degli spettatori o dei magnati di turno, sono i veri finanziatori,
meglio ancora, i soci di maggioranza del calcio italiano. In queste
condizioni diventa inutile e stucchevole recriminare o protestare
contro lo strapotere dei media, i calendari assurdamente fitti, i
campionati spezzatino e le gare fatte disputare in orari improbabili,
su campi pessimi e in condizioni meteorologiche impossibili. Finché il
calcio italiano, con idee ed iniziative concrete, non farà qualcosa per
dotarsi di nuove risorse, risulterà sempre strangolato dalle
televisioni e dalle loro necessità. Così rischia di diventare sempre
più difficile trovare i capitali per convincere i grandi campioni a
venire a giocare da noi e di conseguenza lo spettacolo tenderà a
latitare sempre di più. L’appeal del prodotto potrebbe scadere con la
conseguente riduzione degli investimenti da parte dei grandi network.
In altre parole, se i dirigenti italiani non si daranno una mossa, il
nostro calcio rischia di finire in una spirale negativa dalla quale poi
sarà molto più difficile di oggi risollevarsi.

Per evitare questi
scenari catastrofici non resta che sperare che l’ennesimo annuncio,
quello del presidente federale Abete a proposito di una legge sugli
stadi da varare entro la prossima estate, trovi davvero un riscontro
concreto. Dovesse partire, in tempi ragionevolmente rapidi, questa
operazione di edilizia sportiva, potremo sperare di avere i primi
risultati concreti tra un quinquennio. Nel frattempo c’è da soffrire.



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