Dopo il disastro di Firenze e in vista del terribile impegno di lunedì sera contro la Juventus, è arrivato il momento di porsi una domanda: Luis Enrique è idoneo alla guida del nuovo progetto della Roma? Ad oggi la mia risposta, franca e secca, è no. Intendiamoci, nel fare questa valutazione non sollecito le dimissioni del tecnico o il suo esonero. Al momento non si vedono in giro valide alternative. Oltre tutto, l’arrivo di un nuovo allenatore rischierebbe di veder naufragare l’intero progetto giallorosso. La valutazione del lavoro del tecnico serve soltanto a capire se, fatta salva la validità dei programmi elaborati dalla proprietà americana e dalla dirigenza, Luis Enrique possa essere considerato ancora l’uomo giusto per metterli in pratica.
Le critiche che si possono rivolgere a Luis Enrique sono molte. Per riassumere, esse fanno riferimento alla gestione tecnica e quella disciplinare della squadra. Sul piano tecnico in linea teorica nessuno contesta all’allenatore la bontà dell’idea di costruire la manovra attraverso il possesso palla. Il fatto è che il più delle volte il tutto si è tradotto in una sterile supremazia territoriale che non produce un sufficiente numero di conclusioni in porta, in certi casi addirittura nessuna. Poiché lo scopo del gioco del calcio è segnare delle reti e la condizione per riuscirci è creare occasioni da gol, con Luis Enrique non ci siamo proprio. Vincere le partite senza mai tirare in porta non è un evento contemplato dalla prassi del gioco del calcio. A questo va aggiunta l’incomprensibile rotazione dei giocatori che ha portato a due risultati negativi: mai due volte la stessa formazione e calciatori in più di un’occasione completamente fuori ruolo. Ora, io sono stato tra i primi a sostenere con convinzione che al tecnico andava concesso tempo. Oggi però siamo arrivati quasi a Natale, tra qualche gara sarà finito il girone d’andata, e a quest’ora era lecito attendersi una squadra con una fisionomia chiara e dotata di una precisa identità. In questo senso, siamo in alto mare. Inoltre, gran parte degli osservatori avevano giudicato la rosa della Roma perfettamente in grado di lottare per il terzo posto, obiettivo al momento a dir poco utopistico.
Poi c’è il problema della gestione del gruppo. Enrique ha cominciato a fine agosto lasciando fuori Totti e Borriello. Solo dopo l’intervento della società e molta diplomazia il capitano è stato recuperato alla causa, mentre l’attaccante è stato abbandonato al suo destino tra panchina e tribuna. Poi siamo venuti a conoscenza di certe piccate reazioni del tecnico a precise critiche provenienti dallo spogliatoio che hanno portato, come nel caso di Heinze, ad esclusioni punitive. Quindi il caso Osvaldo-Lamela. Osvaldo andava certamente punito per il colpo inferto a Lamela dopo la gara con l’Udinese. Essendo stato l’episodio prontamente ricomposto, sarebbe stata più che sufficiente una pesante multa. Invece il giocatore è stato “squalificato” per la gara di Firenze, arrecando un danno alla squadra che nell’occasione avrebbe avuto un maledetto bisogno di un giocatore come lui. Come diretta conseguenza, di fronte ad una situazione di campo di difficoltà, la squadra – che pure aveva chiesto in tutti i modi all’allenatore di convocare Osvaldo – ha perso la testa finendo la partita addirittura in otto. Il folle gesto di Bojan, in questo senso, la dice lunga. Una squadra di calcio non è un collegio. Non si va per studiare e subire una rigida educazione. Si va per praticare uno sport, scendere in campo e possibilmente vincere. Naturalmente rispettando compagni ed avversari. Chi sbaglia deve pagare, ma la punizione non può andare oltre la sua funzione primaria. Il fine ultimo di un allenatore, infatti, è mettere un calciatore nelle condizioni di rendere al meglio non quello di educarlo. Non bisogna mai ribaltare i piani. Ho la sensazione, invece, che Luis Enrique lo faccia.
La mia sensazione, in definitiva, è che l’asturiano non sia pronto per allenare in serie A e, più in generale, ad alti livelli. Non escludo che possa diventare un bravo allenatore. Al momento, però, non lo è. Avrebbe bisogno di fare due o tre anni di esperienza su una panchina minore, magari nel suo paese, tanto per farsi le ossa. Non può essere la Roma il club dove fare tirocinio. Ingaggiarlo è stato un errore. Che fare allora? Ripeto: al momento soluzioni alternative degne di questo nome non ce ne sono. Meglio tenersi Enrique allora e navigare a vista. A fine stagione, però, quando ogni valutazione potrà essere definitiva, la Roma farà bene a cambiare rotta.
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