lunedì 6 dicembre 2010

STUDIO UEFA: IL CALCIO SPENDE PIU' DI QUANTO INCASSA

Speciale pubblicato su TS il 3 dicembre 2010

Uno dei capisaldi della politica di Michel Platini da quando è presidente dell’UEFA, com’è noto, è il cosiddetto fair-play finanziario. Il quale altro non è che una serie di regole di sana gestione economico-finanziaria dei club finalizzata alla ricerca dell’equilibrio dei conti dell’intero calcio europeo. Naturalmente, per avere la forza di imporre questo sistema di regole gli esperti di Platini a suo tempo hanno anche elaborato un preciso meccanismo di sanzioni da infliggere ai club che non vogliono o non riescono ad attenervisi. Lo strumento che renderà possibile l’applicazione del fair-play finanziario e le relative sanzioni è il cosiddetto sistema di licenze dei club. Molto semplicemente, si tratta di una modalità che, sulla base di specifici parametri, determina la concessione o meno, da parte dell’UEFA, dell’autorizzazione alla partecipazione alle competizioni europee. In altre parole, un club può anche essere padrone di gestirsi come gli pare e di contravvenire alle indicazioni del massimo organismo calcistico continentale. Se lo farà, però, dovrà rinunciare ai palcoscenici della Champions e dell’Europa League. Un deterrente tale da dissuadere anche i dirigenti più refrattari.

Il sistema di licenze per i club, oltre ad essere uno degli strumenti più efficaci di cui è riuscito a dotarsi Platini per attuare la propria politica, rappresenta anche un’occasione per fotografare lo stato di salute economica del calcio europeo. A questo proposito da un paio di anni l’UEFA pubblica un rapporto, The European Club Footballing Landscape (Lo scenario dei club europei di calcio), una vera e propria miniera di informazioni. Nell’ultima edizione, relativa all’anno 2009, si apprende come il sistema di licenze per club adottato dall’UEFA abbia fatto anche da progetto pilota per la sperimentazione di sistemi simili anche a livello nazionale. In altre parole, le leghe di molti paesi hanno deciso di introdurre le licenze anche per stabilire se un club può iscriversi al campionato. Sono ben 24 i paesi che adottano al tempo stesso il sistema di licenze UEFA e quello nazionale. Altri 14 adottano un sistema unico che vale per UEFA e per i campionati nazionali. Infine, 15 paesi non hanno ancora optato per un sistema nazionale di licenze e si limitano a sottoporsi a quello europeo. Non bisogna credere che la procedura elaborata a Nyon sia sono un freddo ed inutile strumento burocratico. Nella realtà ha manifestato la sua efficacia. Basta verificare il numero di licenze rilasciate nelle ultime cinque stagioni prese in esame, dal 2004-05 al 2008-09. All’inizio i club accreditati sono cresciuti progressivamente da 478 a 554. Poi nel 2008-09 sono calati drasticamente a 503. Contemporaneamente il numero di club ai quali è stata rifiutata la licenza e che di conseguenza non hanno potuto iscriversi alle coppe europee è passato da 106 a 126. Naturalmente non sono mancati i club che hanno deciso di non presentare la documentazione richiesta. In quel caso, però, si tratta di società che non avevano speranza di concorrere nelle competizioni europee ed appartenevano comunque a paesi che non prevedono ancora un sistema di licenze.

Un dato interessante esaminato dall’UEFA è quello relativo alla proprietà degli stadi. Si scopre che, a parte i grandi paesi europei, questa non è ancora un elemento fondante della struttura economica dei club. Sono solo 11, infatti, i paesi in cui la maggior parte delle società è proprietaria dell’impianto in cui gioca. In 10 casi solo alcuni club possiedono lo stadio e in altrettanti è solo una società a poterne vantare la proprietà. In una grande numero di paesi (22), dunque, nemmeno un club ha uno stadio proprio. Nella maggior parte dei casi il loro utilizzo è subordinato alla sottoscrizione di un contratto di utilizzo con le autorità locali.

Interessanti anche le informazioni relative al tifo e agli spettatori. Secondo dati del 2007, in quattro campionati sono oltre 20 mila gli spettatori medi, in nove casi la media oscilla tra 10 e 20 mila. A causa della presenza di molti paesi calcisticamente modesti, nella maggior parte dei casi (13) non si arriva a mille spettatori di media a partita. In compenso, in 27 campionati il trend è in crescita, in sei casi addirittura con percentuali superiori al 20%.

Lo studio commissionato da Platini, poi, affronta la composizione finanziaria dei club europei, suddividendoli in paesi con fatturati top, ampi, medi, piccoli e minimi. Nei maggiori campionati si raggiunge un fatturato medio superiore ai 50 milioni di euro per club. Il maggior numero di campionati (13) ricade nella categoria intermedia con fatturati che oscillano da 1,25 a 5 milioni di euro annui. Quello che impressiona è il dato globale. Se si sommano i fatturati di tutti i club militanti nei campionati europei esaminati si arriva alla cifra vertiginosa di 11 miliardi di euro! A tanto, dunque, ammonta il valore del fatturato del calcio europeo. Com’era facile prevedere, i dati relativi al 2007 confermano che l’Inghilterra è al vertice della piramide con un fatturato medio di 114 milioni di euro per club. A seguire Germania, Spagna e Italia che si collocano più o meno allo stesso livello, milione più milione meno. Poi, molto staccata, la Francia con 49 milioni. La prima delle out-sider è la Russia, i cui club fatturano in media 26 milioni. Poi, via via tutti gli altri paesi con in coda Macedonia, San Marino e Andorra i cui club mediamente fatturano appena centomila euro all’anno. Ancora più interessante la tabella relativa al divario tra club ricchi e poveri di ogni singolo paese. L’UEFA ha preso in esame il fatturato medio dei quattro club più ricchi di ciascun paese, mettendolo a confronto con quello di tutti gli altri ed ha calcolato di quante volte è superiore. Da questo esame si ricava che i tornei più squilibrati sono Serbia ed Ucraina. In quei campionati i club più ricchi fatturano addirittura dieci volte più degli altri. La presenza in cima a questa speciale graduatoria di paesi di seconda o terza fascia dimostra che proprio in quei campionati si sconta il maggior distacco tra i pochi club d’eccellenza e tutti gli altri. I grandi paesi in genere si collocano nella seconda parte della classifica, segno che bene o male qualche forma di redistribuzione della ricchezza, soprattutto grazie ai diritti televisivi, è stata trovata. Tuttavia, proprio in tema di diritti televisivi i grandi campionati pagano uno scotto: l’eccessiva dipendenza da questa voce dei loro fatturati. Un po’ a sorpresa è la Francia il paese che globalmente deve di più alle TV: addirittura il 57% del fatturato medio di un club. A seguire l’Italia col 51%. Il dato relativo alla nostra Serie A non ha nulla di sorprendente agli occhi nei nostri lettori, visto che è stato messo in evidenza in occasione di numerosi speciali pubblicati in passato. Più equilibrata la situazione di Inghilterra, Germania e Spagna con percentuali inferiori al 40%. Naturalmente, col calare del peso economico e dei bacini di utenza calano i valori assoluti dei diritti televisivi e, di conseguenza, la dipendenza dei campionati rispetto a questa voce. Ci sono addirittura dieci paesi in cui i diritti TV non generano alcun fatturato.

Ricordate il dato relativo al fatturato globale del calcio europeo? Si tratta della cifra monstre di 11 miliardi di euro. Ebbene, l’UEFA ha analizzato anche la voce relativa ai costi facendo una scoperta sgradevole. L’ammontare complessivo delle uscite è pari a 11,2 miliardi! In altre parole, a fronte dell’enorme ricchezza generata, il calcio europeo la dilapida interamente, facendo registrare addirittura un piccolo passivo. A dimostrazione del fatto che il fair-play finanziario è una strada senza ritorno. Naturalmente la voce che grava maggiormente sui bilanci dei club di ogni angolo d’Europa è quella relativa al costo del lavoro, ossia gli ingaggi dei calciatori e le spese per i trasferimenti. I paesi meno virtuosi sono, un po’ a sorpresa, proprio quelli di secondo piano. Alla Serbia la maglia nera: i club balcanici spendono per i calciatori il 132% del fatturato. Sono messi male anche Israele e Irlanda, rispettivamente col 106 e il 100%. Tra i paesi più importanti, sono Inghilterra e Francia a spendere troppo per i calciatori: il 63%. Va meglio all’Italia col 59% e alla Spagna col 54%. La più virtuosa, come sempre, la Germania col 45%. A parte San Marino, i cui calciatori sono dilettanti e almeno ufficialmente non ricevono compensi, il paese che spende meno per i calciatori è l’Azerbaigian. Nonostante le ricchezze generate dal petrolio, il paese sul Caspio investe su di loro appena il 19% del fatturato.

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