martedì 31 maggio 2011

IL BARCELLONA E’ IL PARADISO DEL CALCIO

Pubblicato su TS il 31 maggio 2011


Dopo la finale di Wembley di sabato sera posso dirlo. Il Barcellona è la squadra più forte, bella e spettacolare che io abbia mai visto giocare. Guardo e studio calcio, per lavoro e per diletto, da almeno trentacinque anni. In questo lungo lasso di tempo di squadre fenomenali ce ne sono state. Ho fatto appena in tempo a gustarmi il grande Ajax di Cruijff, soprattutto nella fase matura e poi crepuscolare quando incarnava la nazionale olandese di Michels. Ho fatto apertamente il tifo per il rivoluzionario Milan di Sacchi al quale, fino a ieri, andavano le mie preferenze. Ho seguito molto da vicino, per lavoro e per passione, il mitico calcio del duemila sperimentato da Valerij Lobanovskij con la Dinamo Kiev e l’URSS degli anni ’80. E poi la Juventus di Platini e Boniek, il mitico Napoli di Maradona, il grande Liverpool, il primo grande Manchester United di Ferguson, il Porto di Mourinho. Tutte squadre che, in un modo o nell’altro, hanno fatto la storia del calcio dagli anni ’70 in avanti. Ebbene, non ce n’è una sola che, a mio avviso, possa rivaleggiare con questo leggendario Barcellona di Pep Guardiola. Penso che sia una valutazione che superi la soggettività. Il motivo è semplice. Il Manchester United attuale è una squadra fortissima. Per dinamismo, semplicità ed efficacia di schemi, spirito combattivo e classe, è un collettivo praticamente perfetto. E’ arrivato in finale in scioltezza, triturando tutti gli avversari con irrisoria facilità. Senza perdere, prima di sabato, una sola partita. Se una squadra così è stata letteralmente sopraffatta ed annichilita significa una sola cosa: il Barcellona è talmente forte da andare oltre l’ordinario e persino lo straordinario. Una squadra fantastica, venuta da un mondo sconosciuto e lontano con un solo scopo: rendere felice ogni appassionato di calcio.

Non c’è stato un solo rappresentante del Manchester che non abbia riconosciuto la netta superiorità blaugrana. Ferguson, che è, dati alla mano, l’allenatore più vincente che la storia ricordi, ha ammesso sconfortato di non avere mai affrontato nella sua trentennale carriera un avversario così forte. Ha ragione. Questo Barcellona rappresenta la sintesi perfetta delle tre principali qualità che deve avere una grande squadra. La prima è l’organizzazione. Sono anni che i catalani seguono senza esitazioni la stessa filosofia: il possesso palla. Ma qui occorre intendersi. Non un possesso palla, per così dire, alla “portoghese”, cioè finalizzato ad addormentare la partita e a rendere inoffensivo l’avversario. Lo definirei un possesso palla “attivo”, finalizzato cioè alla creazione del gioco d’attacco. L’infinita ragnatela di passaggi, che sovente ricorda i movimenti del calcetto più che del calcio, ha il solo scopo di far venire a galla il punto debole dell’avversario per poi colpirlo nell’istante in cui arriva il primo inevitabile errore. In questo senso, il gesto tecnico, dribbling o conclusione in porta che sia, viene sempre dopo. Non è mai fine a se stesso, è sempre funzionale all’organizzazione di gioco. La seconda qualità, per quanto incredibile possa sembrare, è la corsa. I giocatori del Barcellona, nessuno escluso, applicano un movimento incessante per tutti i novanta minuti. Se ci pensate, non potrebbe essere altrimenti. In assenza di movimento, sarebbe impossibile per chi è in possesso della palla smistarla nel migliore dei modi, senza che l’avversario la intercetti. Quando i cervelli del centrocampo, Xavi e Iniesta, guadagnano la sfera, hanno non meno di due o tre compagni che, grazie al movimento continuo, possono riceverla senza l’assillo della marcatura. Non a caso, a fine gara le statistiche individuali pongono sempre i giocatori blaugrana in cima nella classifica dei chilometri percorsi. Non solo. Il Barcellona corre bene. Siccome si muovono tutti, lo sforzo è ben distribuito e raramente capita di vedere i giocatori affaticati a fine gara. Sabato sera, ad un quarto d’ora dalla fine, era il Manchester ad essere sulla corda fisicamente, nonostante avesse disputato una gara sostanzialmente difensiva. Non il Barcellona. L’ultima qualità è l’elevatissima tecnica individuale. Guardiola ha a disposizione almeno tre giocatori tecnicamente fenomenali. Il primo ovviamente è Leo Messi per il quale non è necessario spendere troppi aggettivi. Il paragone tra lui e Maradona non solo ci sta, ma tra qualche anno potremmo ritrovarci a parlare di lui come il più forte calciatore di tutti i tempi. Gli altri sono Iniesta e Xavi. Quest’ultimo, in particolare, è il vero cervello del Barcellona. Un centrocampista così io non l’ho mai visto. Mi riesce difficile individuare nella storia del calcio un simile esempio di sagacia tattica e capacità di servire i compagni senza mai sbagliare un passaggio. Ma non sono solo questi tre. Nel Barcellona non c’è un solo calciatore i cui fondamentali siano meno che eccellenti.

Sabato sera, però, ho capito anche un’altra cosa. Il Barcellona è la numero uno anche per le qualità morali del suo gruppo. Tanto per cominciare non c’è calciatore blaugrana che non abbia un atteggiamento più che sobrio. Niente tatuaggi, orecchini, treccine, comportamenti isterici da prima donna. Messi, nonostante sia ancora un ragazzino, ha vinto tutto. Eppure nessuno ha mai visto un suo atteggiamento fuori posto, una dichiarazione sbagliata. Ma c’è di più. I giocatori non sono semplici compagni di squadra. Questi si comportano come fratelli. Quando, verso la fine della gara, Guardiola ha mandato in campo il vecchio Puyol, Xavi si è affrettato a restituirgli la fascia di capitano. Xavi, il fuoriclasse, che cede il passo al capitano di sempre. Tutti abbiamo pensato che il gesto fosse studiato per consentire al difensore di alzare ancora una volta la coppa. Macché. Al momento della premiazione Puyol s’è tolto la fascia e l’ha ceduta ad Abidal. Solo poche settimane prima il francese aveva sconfitto un tumore al fegato e si è presentato eroicamente in prima linea per la finale. Era giusto che a sollevare la coppa fosse chi aveva vinto una partita ben più importante e difficile di una finale di Champions. Io un simile spettacolo di umanità non l’avevo davvero visto mai.

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