martedì 31 maggio 2011

IL BARCELLONA E’ IL PARADISO DEL CALCIO

Pubblicato su TS il 31 maggio 2011


Dopo la finale di Wembley di sabato sera posso dirlo. Il Barcellona è la squadra più forte, bella e spettacolare che io abbia mai visto giocare. Guardo e studio calcio, per lavoro e per diletto, da almeno trentacinque anni. In questo lungo lasso di tempo di squadre fenomenali ce ne sono state. Ho fatto appena in tempo a gustarmi il grande Ajax di Cruijff, soprattutto nella fase matura e poi crepuscolare quando incarnava la nazionale olandese di Michels. Ho fatto apertamente il tifo per il rivoluzionario Milan di Sacchi al quale, fino a ieri, andavano le mie preferenze. Ho seguito molto da vicino, per lavoro e per passione, il mitico calcio del duemila sperimentato da Valerij Lobanovskij con la Dinamo Kiev e l’URSS degli anni ’80. E poi la Juventus di Platini e Boniek, il mitico Napoli di Maradona, il grande Liverpool, il primo grande Manchester United di Ferguson, il Porto di Mourinho. Tutte squadre che, in un modo o nell’altro, hanno fatto la storia del calcio dagli anni ’70 in avanti. Ebbene, non ce n’è una sola che, a mio avviso, possa rivaleggiare con questo leggendario Barcellona di Pep Guardiola. Penso che sia una valutazione che superi la soggettività. Il motivo è semplice. Il Manchester United attuale è una squadra fortissima. Per dinamismo, semplicità ed efficacia di schemi, spirito combattivo e classe, è un collettivo praticamente perfetto. E’ arrivato in finale in scioltezza, triturando tutti gli avversari con irrisoria facilità. Senza perdere, prima di sabato, una sola partita. Se una squadra così è stata letteralmente sopraffatta ed annichilita significa una sola cosa: il Barcellona è talmente forte da andare oltre l’ordinario e persino lo straordinario. Una squadra fantastica, venuta da un mondo sconosciuto e lontano con un solo scopo: rendere felice ogni appassionato di calcio.

Non c’è stato un solo rappresentante del Manchester che non abbia riconosciuto la netta superiorità blaugrana. Ferguson, che è, dati alla mano, l’allenatore più vincente che la storia ricordi, ha ammesso sconfortato di non avere mai affrontato nella sua trentennale carriera un avversario così forte. Ha ragione. Questo Barcellona rappresenta la sintesi perfetta delle tre principali qualità che deve avere una grande squadra. La prima è l’organizzazione. Sono anni che i catalani seguono senza esitazioni la stessa filosofia: il possesso palla. Ma qui occorre intendersi. Non un possesso palla, per così dire, alla “portoghese”, cioè finalizzato ad addormentare la partita e a rendere inoffensivo l’avversario. Lo definirei un possesso palla “attivo”, finalizzato cioè alla creazione del gioco d’attacco. L’infinita ragnatela di passaggi, che sovente ricorda i movimenti del calcetto più che del calcio, ha il solo scopo di far venire a galla il punto debole dell’avversario per poi colpirlo nell’istante in cui arriva il primo inevitabile errore. In questo senso, il gesto tecnico, dribbling o conclusione in porta che sia, viene sempre dopo. Non è mai fine a se stesso, è sempre funzionale all’organizzazione di gioco. La seconda qualità, per quanto incredibile possa sembrare, è la corsa. I giocatori del Barcellona, nessuno escluso, applicano un movimento incessante per tutti i novanta minuti. Se ci pensate, non potrebbe essere altrimenti. In assenza di movimento, sarebbe impossibile per chi è in possesso della palla smistarla nel migliore dei modi, senza che l’avversario la intercetti. Quando i cervelli del centrocampo, Xavi e Iniesta, guadagnano la sfera, hanno non meno di due o tre compagni che, grazie al movimento continuo, possono riceverla senza l’assillo della marcatura. Non a caso, a fine gara le statistiche individuali pongono sempre i giocatori blaugrana in cima nella classifica dei chilometri percorsi. Non solo. Il Barcellona corre bene. Siccome si muovono tutti, lo sforzo è ben distribuito e raramente capita di vedere i giocatori affaticati a fine gara. Sabato sera, ad un quarto d’ora dalla fine, era il Manchester ad essere sulla corda fisicamente, nonostante avesse disputato una gara sostanzialmente difensiva. Non il Barcellona. L’ultima qualità è l’elevatissima tecnica individuale. Guardiola ha a disposizione almeno tre giocatori tecnicamente fenomenali. Il primo ovviamente è Leo Messi per il quale non è necessario spendere troppi aggettivi. Il paragone tra lui e Maradona non solo ci sta, ma tra qualche anno potremmo ritrovarci a parlare di lui come il più forte calciatore di tutti i tempi. Gli altri sono Iniesta e Xavi. Quest’ultimo, in particolare, è il vero cervello del Barcellona. Un centrocampista così io non l’ho mai visto. Mi riesce difficile individuare nella storia del calcio un simile esempio di sagacia tattica e capacità di servire i compagni senza mai sbagliare un passaggio. Ma non sono solo questi tre. Nel Barcellona non c’è un solo calciatore i cui fondamentali siano meno che eccellenti.

Sabato sera, però, ho capito anche un’altra cosa. Il Barcellona è la numero uno anche per le qualità morali del suo gruppo. Tanto per cominciare non c’è calciatore blaugrana che non abbia un atteggiamento più che sobrio. Niente tatuaggi, orecchini, treccine, comportamenti isterici da prima donna. Messi, nonostante sia ancora un ragazzino, ha vinto tutto. Eppure nessuno ha mai visto un suo atteggiamento fuori posto, una dichiarazione sbagliata. Ma c’è di più. I giocatori non sono semplici compagni di squadra. Questi si comportano come fratelli. Quando, verso la fine della gara, Guardiola ha mandato in campo il vecchio Puyol, Xavi si è affrettato a restituirgli la fascia di capitano. Xavi, il fuoriclasse, che cede il passo al capitano di sempre. Tutti abbiamo pensato che il gesto fosse studiato per consentire al difensore di alzare ancora una volta la coppa. Macché. Al momento della premiazione Puyol s’è tolto la fascia e l’ha ceduta ad Abidal. Solo poche settimane prima il francese aveva sconfitto un tumore al fegato e si è presentato eroicamente in prima linea per la finale. Era giusto che a sollevare la coppa fosse chi aveva vinto una partita ben più importante e difficile di una finale di Champions. Io un simile spettacolo di umanità non l’avevo davvero visto mai.

sabato 28 maggio 2011

INTERVISTA ON.LI CASSON E BORGHESI

INTERVISTA ON.LE LATORRE (PD)

INTERVISTA ON.LE BELISARIO (IDV)

INTERVISTA ON.LE STORACE (LA DESTRA)

INTERVISTA ON.LE PAPA (PDL)

mercoledì 25 maggio 2011

CON L’UDINESE VINCE IL METODO DEI POZZO

Pubblicato su TS il 24 maggio 2011


L’ultima giornata di campionato ci doveva un ultimo importante verdetto: il nome della quarta squadra italiana per la prossima Champions League. L’ha spuntata l’Udinese. A dispetto delle previsioni, il prevedibile pareggio ottenuto col Milan non è apparso concordato. Anzi, i friulani hanno provato a vincere per evitare brutte sorprese e non sono riusciti a segnare anche per colpa della fortuna. Lo 0-0 finale li premia grazie alla migliore performance negli scontri diretto contro la Lazio, terminata a pari punti.

Il successo dei ragazzi di Guidolin va festeggiato come fosse uno scudetto. Nelle prime cinque giornate la squadra aveva raccolto appena un punto e molti si erano convinti che per i bianconeri sarebbe stata una stagione di sofferenza. Al contrario, dalla sesta giornata in poi la squadra ha cominciato a metabolizzare l’impostazione dell’allenatore ed ha dato vita ad una cavalcata che a tratti è parsa irresistibile. Per un lungo tratto di stagione l’Udinese ha viaggiato a ritmi scudetto. Poi una flessione aveva messo a rischio il quarto posto. Il rush finale le ha consentito di riacciuffarlo. Si tratta di un risultato straordinario. Non è un mistero che l’approccio al calcio della famiglia Pozzo sia quello di uomini d’affari che con questo sport sanno come fare business. Ormai da anni hanno messo in piedi una perfetta struttura di osservatori che consentono loro di setacciare il mercato mondiale e di ingaggiare giovani talenti da valorizzare. Una volta fatti apprezzare dal grande pubblico li mettono sul mercato realizzando ricche plusvalenze. Così generano regolarmente utili per se e per il club al quale non mancano mai risorse sufficienti per fronteggiare qualsiasi evenienza. Naturalmente questo modello è possibile per la particolare caratteristica della piazza friulana. Udine è una città tranquilla con tifosi che consentono ai propri dirigenti di lavorare senza eccessive pressioni. Accettano l’approccio dei Pozzo, nonostante siano consapevoli del fatto che quando sei abituato a cedere ogni anno i pezzi migliori, talvolta può anche capitare di sbagliare la stagione o addirittura di finire in B. Ne sono consapevoli e l’accettano. Anche perché si sono resi conto che da quando c’è questa famiglia al comando del club bianconero i risultati non sono mai stati migliori. Nessuno dimentica, infatti, che anche ai tempi di Spalletti la squadra riuscì a centrare il traguardo Champions.

Ma non si tratta solo di bontà dei risultati. Secondo una tradizione ben consolidata, l’Udinese insegue i propri obiettivi proponendo sempre un calcio divertente. Quest’anno per lunghi tratti ha messo in mostra il miglior gioco della serie A. Nonostante Guidolin nella sua carriera non abbia mai brillato per la particolare qualità del gioco delle sue squadre. Stavolta al triste tecnico veneto va riconosciuto di avere valorizzato al massimo un giocatore come Sanchez, ma soprattutto di avere ben miscelato il buon vecchio contropiede con le caratteristiche tecniche dei suoi attaccanti. Su tutti il solito monumentale Di Natale che a Udine ha trovato la sua dimensione ormai definitiva: un grande bomber di provincia. Ora per i friulani arriverà il difficile. Non solo saranno attesi ad una conferma nella prossima stagione, ma soprattutto in agosto dovranno disputare un difficile play-off per l’accesso alla fase a gironi della Champions. Si tratta di un passaggio complicato. Anche perché ostacola il mercato, visto che soltanto verso la fine di agosto si sa se occorre allestire una squadra per l’Europa o per il solo campionato. Inoltre, la storia dimostra che le squadre non abituate a disputare la Champions League di solito in campionato pagano un prezzo altissimo. Si veda la Sampdoria che quest’anno, dopo avere fallito l’ingresso nella fase a gironi, è andata talmente male da retrocedere. L’aspetto positivo, come detto, è che anche l’avventura europea sarà affrontata con entusiasmo ma anche assoluta serenità.

Il successo dell’Udinese è andato a tutto svantaggio della Lazio che, tutto sommato, avrebbe egualmente meritato di entrare in Europa dalla porta principale. In fondo i biancocelesti hanno avuto un andamento più regolare, anche se hanno manifestato un brutto difetto. Si sono sempre dissolti al cospetto di avversari di prestigio. Al contrario dell’Udinese che se l’è sempre giocata con tutti, la Lazio sovente ha manifestato un complesso d’inferiorità e una certa mancanza di personalità. Peccato perché la qualità tecnica complessiva della rosa era molto buona e una stagione come questa, con Roma e Juventus in grande difficoltà, difficilmente si ripeterà a breve.

Deschamps, «un plan B» pour la Roma...

Pubblicato su France Football il 24 maggio 2011

L'entraîneur de Marseille serait prêt à rejoindre la Roma, affirme la presse italienne. Mais DD ne semble pas être la priorité n°1 du club transalpin et lui-même, au sein de l'OM, a démenti tout accord. (Photo Presse-Sports)
DD à la Roma, une vraie piste ? Ce mardi, le Corriere dello Sport n'a pas hésité à mettre à sa «Une» la disponibilité de Didier Deschamps à venir entraîner le club de la Ville Eternelle en 2011-12. Quel crédit y apporter ? L'intérêt des Giallorossi est réel et, de fait, les rumeurs autours du coach de l'Olympique de Marseille circulent à Rome depuis une bonne semaine. Mais rien de conclu, loin de là. Car le «dossier Deschamps» s'inscrit dans un complexe conteste de refondation du club, amorcé avec la prise de pouvoir d'un groupe d'hommes d'affaires italo-américains. Walter Sabatini, nommé directeur sportif, a pour mission de bâtir l'équipe de la saison prochaine. Mais il n'est pas seul. Franco Baldini, actuellement bras droit de Fabio Capello en sélection d'Angleterre, s'est vu proposer un poste de directeur général.

La piste n°1 mène au Portugais Villas Boas

En attendant de se libérer, Baldini prête déjà un coup de main aux Romains, disons de façon officieuse. Et il met toute son énergie sur ce qui est l'objectif n°1 des nouveaux propriétaires : André Villas Boas, le technicien du FC Porto. Les Romains sont persuadés que le jeune Portugais, tout récent vainqueur de l'Europa Ligue, est l'homme idéal pour reconstruire une équipe très compétitive sans bénéficier des budgets du Milan AC ou de l'Inter Milan. Un recrutement très compliqué, pourtant. Presque autant que Pep Guardiola, le rêve absolu, et inaccessible, des Romains. Car Villas Boas aimerait coacher «son» Porto en Ligue des champions avant d'émigrer. Et sa clause de départ, entre 10 et 13 millions d'euros, ne facilite pas les affaires de la Roma. Mais, malgré un premier refus du technicien portugais, Baldini fait le forcing.

Il connaît le Calcio et parle italien...

Et Deschamps, alors ? Le Français est en tête d'une liste «B» qui comprend aussi Marcelo Bielsa (ex-sélection du Chili), Unai Emery (Valence), Stefano Pioli (Chievo Vérone) ou même Carlo Ancelotti, fraîchement limogé de Chelsea... Pour en revenir à Didier Deschamps, les Romains sont sensibles à son expérience, à sa connaissance du Calcio et de la langue italienne, et au fait qu'il pourrait convaincre Jérémy Menez de rester. Contacté via son ancien coéquipier de la Juventus Turin, Angelo di Livio, le Français aurait donné un avis positif. Mais du côté de l'OM, on affirme au contraire que le technicien dément tout feu vert en direction de Rome.

Antonio Felici et Philippe Auclair

giovedì 19 maggio 2011

IL DRAMMA DELLA SAMPDORIA UNA LEZIONE PER I GARRONE

Pubblicato su TS il 17 maggio 2011


Si può vincere uno scudetto nel momento stesso in cui si va in B? Impossibile, direte voi. Invece il miracolo è accaduto a Marassi. Quando l’arbitro ha sancito la vittoria del Palermo e la matematica retrocessione della Sampdoria, il popolo blucerchiato invece di disperarsi ha cominciato ad applaudire. Certo, forse era un modo per farsi coraggio, uno scatto di nervi per urlare al mondo che la Samp è ancora viva. Forse era solo il riflesso condizionato di una tifoseria che al termine della più assurda stagione della sua storia ancora non ha realizzato quanto accaduto. Comunque sia, una reazione all’inglese. Quante volte, anche tra le colonne di questo giornale, abbiamo manifestato la nostra stima per la cultura sportiva britannica? La stessa che fa sì che i supporter di una squadra retrocessa invece di inveire si alzino in piedi, magari con le lacrime agli occhi, per applaudire i propri beniamini, ringraziandoli per aver dato tutto. Ebbene, ci fa piacere che un comportamento simile l’abbia avuto il popolo blucerchiato il cui stadio, non a caso, è il più inglese tra quelli italiani. In questi momenti a questi tifosi va tutta la nostra comprensione. Appena pochi mesi fa per un niente non hanno festeggiato l’ingresso nei gironi della Champions. Ora si ritrovano in B. Un campionato che non gli appartiene, una realtà estranea ad un club che per storia e possibilità economiche dovrebbe collocarsi sempre nella prima metà della classifica. Com’è potuto accadere?

E’ raro trovare un caso di fallimento sportivo, come quello della Sampdoria, di cui si riesca ad individuare il colpevole con tanta chiarezza. Alla famiglia Garrone va ascritta la piena responsabilità per la catastrofe tecnica di quest’anno. I proprietari della Erg non hanno mai brillato per la loro munificità. Pur disponendo di un patrimonio che non ha nulla da invidiare a quello dei Moratti, petrolieri come loro, hanno sempre amministrato il club con estrema parsimonia. Nonostante ciò, attraverso acquisti mirati ed una buona gestione tecnica sono sempre riusciti ad ottenere ottimi risultati. Come il quarto posto nella passata stagione che aveva regalato alla squadra il diritto a disputare i play-off della Champions League. L’immeritata eliminazione patita dal Werder Brema evidentemente gli ha fatto perdere la testa. Privati del prestigioso palcoscenico europeo, con gli annessi ricchi guadagni cui evidentemente avevano già fatto la bocca, i Garrone si sono improvvisamente ripiegati su se stessi cominciando a pensare più alla riduzione dei costi di gestione del club che al suo benessere tecnico. Solo così si può spiegare la doppia cessione di Cassano e Pazzini nel mercato di gennaio. La Sampdoria in un colpo solo s’è privata della coppia d’attacco della Nazionale, un patrimonio tecnico che poche squadre potevano vantare. E’ vero, Cassano era diventato un problema e Pazzini aveva chiesto di essere ceduto. Ma nessun proprietario che non sia uno sprovveduto avrebbe mai accettato di privarsi di entrambi in un colpo solo. Nell’occasione la voglia di fare cassa gli ha giocato un brutto scherzo. A quel punto sarebbe servito un dirigente esperto come Marotta per ovviare alle partenze con qualche valida operazione di mercato. Peccato che il direttore sportivo nell’estate precedente era partito alla volta di Torino. Così, di fronte all’inevitabile crisi di risultati la proprietà non ha trovato di meglio che licenziare uno dei più bravi tecnici di scuola italiana in circolazione: Di Carlo. Per sostituirlo con chi poi! Con quel Cavasin i cui migliori risultati sportivi si perdono nella notte dei tempi e che in due esperienze fallimentari con Bellinzona e Sampdoria è riuscito a vincere una sola gara su venti! Al presidente Riccardo Garrone vanno tutti i nostri migliori auguri perché attualmente non gode di ottima salute. Al figlio Edoardo riconosciamo di averci messo la faccia nel momento peggiore. Tuttavia, ciò non ci esime dall’affermare che per come hanno gestito il club negli ultimi mesi meritano questa retrocessione. Chissà che un anno di purgatorio in B non gli sia d’insegnamento per il futuro. Resta il rimpianto per la tifoseria sampdoriana cui siamo idealmente vicini e alla quale auguriamo di ritrovare al più presto il campionato che merita.

Per una dirigenza che ha lavorato male ce ne sono altre alle quali vanno fatti i complimenti per la salvezza raggiunta. Tanto per cominciare a quella del Cesena. In estate avevamo indicato la romagnola tra le formazioni papabili per la retrocessione. Siamo stati smentiti. A fronte di una indiscutibile povertà tecnica della rosa, sotto la sapiente guida di Ficcadenti la squadra ha disputato un ottimo campionato fatto di geometrie e tanta corsa. Una salvezza meritatissima. Va dato merito anche alla dirigenza del Lecce che, quando le cose non andavano bene, ha respinto le dimissioni di De Canio. Forte della fiducia della presidenza, l’allenatore ha continuato ad insistere con l’idea di salvarsi attraverso il gioco e alla fine l’obiettivo è stato centrato. Una menzione finale per il Bologna. Nonostante una crisi societaria senza precedenti, Malesani e i giocatori hanno fatto quadrato e sono riusciti a portarsi in salvo. Cosa mai facile quando non hai la certezza del presente e tantomeno del futuro.

INTERVISTA ON.LE VITA (PD)

INTERVISTA ON.LE GRIMOLDI (LEGA)

INTERVISTA ON.LE SCILIPOTI (RESPONSABILI)

INTERVISTA ON.LE CONTENTO (PDL)

SPECIALE ROMA ANCH'IO ELEZIONI 2011 SU RADIO IES PT 14

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sabato 14 maggio 2011

INTERVISTA ON.LE SISTI (PDL) SU ELEZIONI AMMINISTRATIVE

INTERVISTA SENATORE DI GIOVAN PAOLO (PD) SU ELEZIONI AMMINISTRATIVE

QUESTO OTTIMO MILAN BASTA PER LA CHAMPIONS?

Pubblicato su TS il 10 maggio 2011


Il Milan ha vinto uno scudetto meritato. La festa che andrà in scena a S.Siro in occasione della gara contro il Cagliari può essere considerata sacrosanta e ai tifosi nerazzurri dovrà unirsi l’applauso di tutti gli sportivi italiani neutrali. Non pensiamo che l’abbia vinto necessariamente la squadra più forte. L’Inter e la Roma, ad esempio, non sembravano meno attrezzate. Ma in una stagione caratterizzata da una sostanziale modestia tecnica e da un girone di andata in cui risultava molto arduo capire chi avrebbe potuto piazzare l’allungo vincente, il Milan ha dimostrato di essere la formazione più regolare. Non è mai apparsa una corazzata inattaccabile. Semmai una stabile nave da crociera che, approfittando delle falle che si aprivano nelle imbarcazioni altrui, è arrivata tranquillamente in porto accompagnata da un mare propizio.

Se ripensiamo alle valutazioni che tutti noi opinionisti abbiamo fatto nella scorsa estate, viene da pensare che il gruppo nerazzurro ha vinto perché ciascun componente ha fatto qualcosa in più di quello che ci si aspettava da lui. Ad ogni livello. Su tutti, naturalmente, la società. Pur essendo finiti i tempi in cui Silvio Berlusconi spendeva e spandeva senza limiti, quando si arriva al dunque il patron milanista allarga sempre i cordoni della borsa. Così, nelle ultime ore di mercato estivo ha staccato il solito assegno, dando il via libera a Galliani per i clamorosi acquisti di Ibrahimovic e Robinho. A gennaio la scena si è ripetuta con l’arrivo di Van Bommel. L’altro grande merito della dirigenza rossonera è stato quello di individuare, ancora una volta, un tecnico emergente che facesse al loro caso. Così è stato ingaggiato Allegri che in passato aveva sempre praticato un buon calcio e che ha superato il difficile esame del colloquio privato col Premier. Anche lui ha fatto molto di più di quanto ci si aspettasse. All’inizio dava l’impressione di poter essere stritolato dalla difficile convivenza con Berlusconi. Con Ibrahimovic, Pato e Robinho, il grande capo chiedeva espressamente di puntare su uno schieramento molto offensivo che rischiava di essere fatale ad un tecnico abituato si a praticare bel calcio, ma senza dimenticare gli equilibri. Non parliamo poi di quando si è fatto male Pirlo, il vero perno del gioco del Milan dall’arrivo di Ancelotti in poi. Un altro allenatore avrebbe potuto andare in confusione. Lui no. Al contrario, ha approfittato dell’assenza del nazionale per proporre un centrocampo con tre cursori, in modo da lasciare liberi tre posti per il reparto offensivo. In questo modo ha soddisfatto i desideri del capo e, al tempo stesso, ha garantito equilibrio alla squadra. Nasce da quella scelta la solidità e la stabilità che il Milan ha trovato e conservato poi per il resto della stagione. Questo merito è tutto di Allegri che bagna il suo ingresso nel grande calcio subito col titolo. Prodromi di una grande carriera.

Naturalmente anche la squadra nel suo complesso è andata oltre le attese. Spesso il Milan è stato percepito (a ragione) come una squadra vecchia e un po’ bollita. Valutazione smentita dai fatti. Sono tanti i giocatori che hanno sorpreso in positivo. A cominciare dal portiere Abbiati che, senza proclami, a distanza di oltre un decennio è tornato a vincere uno scudetto col Milan da protagonista. Si è rivelato il miglior portiere del nostro campionato. Molti temevano che, a causa di possibili malanni, non li avremmo visti assieme più di tanto, ma Nesta e Thiago Silva hanno costituito la miglior coppia centrale del torneo. A centrocampo si è rivelato azzeccato l’acquisto di Boateng, assai apprezzabile anche nel ruolo di trequartista. Come quello di Van Bommel, giocatore di grande rendimento. Per quanto riguarda il reparto offensivo, a nostro avviso Ibrahimovic e Pato hanno fatto il loro. Sono due fuoriclasse e anche se hanno avuto qualche problema di convivenza hanno risposto alle attese. Lo svedese poi è una specie di anatema: dove va lui si vince lo scudetto. E’ arrivato all’ottavo titolo nazionale consecutivo. Un record incredibile. Ma la vera sorpresa, a nostro avviso, è stato Robinho. Noi avevamo giudicato negativamente il suo acquisto. Ritenevamo che non fosse utile alla causa rossonera. Invece ha disputato forse la sua stagione migliore, quella più matura, da talento che sa mettersi a disposizione del collettivo. L’ultima parola la merita Seedorf. Un fuoriclasse straordinario, praticamente senza tempo. Un professionista esemplare, puntuale e preciso negli allenamenti, una regolare vita da sportivo. Accompagnato da una condizione atletica a tratti smagliante, ha regalato lampi di classe e in qualche occasione ha trascinato da solo il Milan alla vittoria. Un giocatore così ogni tifoso vorrebbe averlo nella propria squadra.

Fatti i complimenti a tutti, resta però un interrogativo. Quanto possiamo considerare attendibile il nostro campionato? Questo stesso Milan, infatti, in Europa non ha particolarmente brillato ed è stato estromesso dalla Champions dal Tottenham, non dal Barcellona o dal Manchester United. La sensazione è che questo Milan bello e regolare che ha meritatamente vinto il titolo non sia abbastanza forte per aspirare a ripetersi in Champions. Una realtà della quale la dirigenza rossonera farà bene a prendere atto quando si tratterà di studiare i miglioramenti in sede di mercato.

mercoledì 4 maggio 2011

CHAMPIONS: SEMIFINALI ANCORA TUTTE DA GODERE

Pubblicato su TS il 2 maggio 2011


Questa settimana, nel corso del week-end, molto probabilmente verrà sancita la vittoria del titolo da parte del Milan. Con otto punti a tre giornate dalla fine i rossoneri possono già festeggiare. Il maggiore motivo di interesse per la nostra serie A, dunque, è scemato. Resta ancora incerta la lotta per l’ultimo posto disponibile in Champions League e quella per non retrocedere. Tuttavia, chi volesse dedicarsi solo al calcio di altissimo livello dovrà necessariamente sintonizzarsi sulle gare di ritorno delle semifinali di Champions.

E’ vero, l’esito dei due match sembra ormai scontato. Ma è in questa competizione che si vive il grande calcio, talvolta indipendentemente dal risultato finale. Prendete Manchester United-Schalke 04. Dopo il 2-0 a favore degli inglesi nella gara di andata la qualificazione non è più in discussione. Ma volete mettere il gusto che si proverà nell’ammirare lo stadio inglese pieno e festante che applaude una squadra, quella di Ferguson, praticamente perfetta. Un organismo armonioso che, col passare degli anni e dei giocatori, si esprime sempre ai massimi livelli secondo un consolidato modello fatto di geometria lineare e velocità. E quei giocatori che da soli valgono il prezzo del biglietto. Ryan Giggs, che pur essendo stagionato resta un campione decisivo come pochi, puro esempio di bravura e professionalità. O Rooney, cui l’allenatore può chiedere indifferentemente di fare il goleador, il suggeritore oppure il terzino e lui lo fa senza fiatare. E lo fa bene. Che dire, poi, del talento infinito di Raul che, scaricato dal Real Madrid, sta dimostrando nello Schalke che quando uno ha testa e piedi il dovere suo continua sempre a farlo. Che nel suo caso sono gol e record. Che importa se già sappiamo che in finale andrà il Manchester? Per noi spettatori neutrali, conterà solo la classe che mostreranno i giocatori, la voglia di divertire e, perché no, di vincere.

Per non parlare, poi, del clasico Barcellona-Real Madrid. E’ vero, all’andata il Barça ha ipotecato la qualificazione e fatto saltare i nervi a Mourinho. Ma quando in gioco c’è il tecnico portoghese le partite non sono mai banali. Già il portoghese. In Italia era adorato e venerato, non solo dai tifosi dell’Inter. Frotte di giornalisti impazzivano per lui. Più li insultava e più gli si sottomettevano, pur di strappargli un titolo. Chi vi scrive, lo sapete, è stato tra i suoi critici più feroci. Trovava insopportabile il suo approccio manicheo, bianco o nero, o con me o contro di me, l’idea che i trofei si vincano con le astuzie della psicologia piuttosto che con la classe dei campioni e col bel gioco. Pensavamo che una volta abbandonata l’Italia avrebbe sì lasciato tante vittorie, ma anche molte macerie. Ne è una dimostrazione l’Inter di quest’anno. I suoi calciatori, soprattutto i più fedeli, spremuti e torchiati sul piano psicologico, una volta tornati alla normalità di una vita sportiva priva di continui elettroshock, si sono afflosciati come sacchi vuoti. I risultati si sono visti. Josè Mourinho, poi, è l’esatto contrario della cultura sportiva. In Spagna ha tentato di esportare il suo modello consolidato. Ma quello iberico è un paese diverso dal nostro. Lì le vittorie sono importanti, ma lo è ancora di più il bel gioco. Lì il carisma del tecnico è importante, ma lo è di più l’educazione e il rispetto del prossimo. Così quando Mourinho è andato in conferenza stampa e si è prodotto in uno dei suoi presunti colpi di genio mediatici rifiutandosi di rispondere alle domande, la quasi totalità dei giornalisti si è alzata e se n’è andata. Così si risponde alla mancanza di rispetto. E il suo Real? Una squadra ricchissima di campioni ma che bada solo a difendersi e a speculare sull’avversario. Tutto questo per cosa? Una misera Coppa del Re! Al posto della dirigenza del Real lo licenzieremmo per lasciarlo andare in altri lidi. Dove le sue qualità istrioniche contano più dell’essenza del calcio. Come è diverso l’esempio del Barcellona di Guardiola, una squadra anch’essa ricca di campioni straordinari ma che si preoccupa dal primo all’ultimo minuto di tenere palla, di attaccare, di segnare gol, montagne di gol. A volte potrà anche perdere accidentalmente, ma che sollievo regala all’anima di ogni appassionato di calcio! Con questi protagonisti, con calciatori così forti, con questi modi di intendere il calcio tanto lontani, un Barcellona-Real Madrid non sarà mai scontato e banale. Anche se all’andata è finita 2-0 per chi giocherà in casa.

Gli appassionati facciano attenzione a non perdersi nemmeno le gare di ritorno delle semifinali di Europa League. C’è da ammirare lo straordinario Porto di Vilas Boas. E’ vero, il campionato portoghese non è la Liga o la Premier e l’Europa League non è la Champions. Ma con tre o quattro campioni e un manipolo di giocatori buoni ma normali questo giovane allenatore poco più che trentenne sta incantando l’Europa. Segna gol a grappoli, cosa inconsueta per la tradizione lusitana, e dà spettacolo. Un caso da seguire da vicino. Come il fenomeno Portogallo, un paese povero in grado di piazzare tre squadre nelle semifinali di Europa League. Un paese calcisticamente emergente che dona speranza a chi come noi è alle prese con la quotidiana decadenza italica.

INTERVISTA A BOBO CRAXI SULLA QUESTIONE LIBICA

INTERVISTA AL SEN CASOLI (PDL) SULLA QUESTIONE LIBICA