sabato 19 novembre 2011

VERSIONE IN ITALIANO DELL'INTERVISTA A ZAMPARINI USCITA OGGI SU FRANCE FOOTBALL

Presidente, lei è nel calcio da tanti anni, quasi 25, è stato proprietario del Venezia ora del Palermo. Cosa l’ha spinta ad entrare nel mondo del calcio?

“Semplicemente la passione. Da piccolo nel mio paese [Sevegliano, nda] io ero l’unico a possedere un pallone. Me l’aveva regalato un mio zio inglese. Ero tutti i giorni nel cortile a giocare con gli altri ragazzini. Poi a venti anni mi trasferii a Milano dove iniziaii a fare l’imprenditore e lascia perdere il calcio. Ma la passione rimase immutata. Così cominciai ad occuparmi di squadre dilettanti, finché diventato ormai un imprenditore di successo decisi, circa 25 anni fa, di acquistare il Venezia. E li è cominciato tutto. Lei mi chiede cosa mi ha spinto. Le rispondo sinceramente: la vanità. Noi presidenti di squadre di calcio siamo vanitosi, amiamo apparire, la visibilità”.

Lei è un imprenditore di successo (ricordiamo la vendita del suo gruppo MZ ai francesi di Conforama). E’ possibile fare impresa nel calcio?

“No. Per me col calcio non si fa impresa. Si fa calcio esclusivamente per una ragione di immagine. Prendete il Paris SG. Guardate il ritorno di immagine che ha avuto lo sceicco del Qatar che ha rilevato il club parigino. Per pubblicizzare il proprio fondo di investimento quanto avrebbe dovuto spendere in investimenti pubblicitari o di marketing. Glielo dico io: una fortuna. Dopo aver rilevato il PSG, invece, cinque minuti dopo lo conoscevano tutti. Stesso movente ha avuto il proprietario del Manchester City o Abramovich col Chelsea anni fa. In Italia abbiamo l’esempio di Berlusconi. Anche lui ha preso il Milan per vanità. Fare il Premier poi, ma chi gliel’ha fatto fare? Avrebbe potuto starsene in pace a godersi tutti i suoi soldi. Invece fa una vita d’inferno. Perché secondo lei? Per vanità. D’altra parte un vecchio proverbio siciliano, un po’ volgare, dice: comandare è meglio che fottere!”

Si parla spesso della crisi del calcio italiano, dell’incapacità dei suoi manager di gestirlo al meglio come in Inghilterra o Germania. Qual è la sua posizione in merito?

“Sarò franco. Il problema siamo noi italiani. Le vuole sapere cos’hanno in più in Germania o Inghilterra. Ebbene, io dico in più hanno i tedeschi e gli inglesi. Voglio dire il problema principale siamo noi italiani, il popolo italiano. E’ nostra la colpa se le cose non vanno. Nel paese come nel calcio. Il nostro sport, in fondo, altro non è che lo specchio del paese. Anzi, se le devo dire la verità, il calcio italiano è anche meglio di tutto il resto del paese. Se ci pensa, un presidente quando compra un calciatore è costretto a dare garanzie, fidejussioni bancarie, non può fare scherzi. Nelle altre attività, invece, lasciamo perdere. Si parla tanto del problema degli stadi. Sa cosa le dico? Che i club italiani sono disposti ad investire globalmente circa due miliardi di euro per la costruzione di nuovi stadi. Cosa avevamo chiesto allo Stato? Non soldi, ma semplicemente di alleggerire la burocrazia. Neanche quello ha fatto. [Il presidente Zamparini si è offerto di costruire lui il nuovo stadio del Palermo].

Anche all’estero è arrivata la sua fama di “mangiallenatori”, una quarantina tra Venezia e Palermo. E’ davvero un mangiallenatori? E se no come spiega questi cambiamenti continui?

“E’ colpa del mio carattere. Il fatto è che io, dovendo seguire le altre mie attività, non vivo la squadra durante la settimana. La domenica non vado neanche allo stadio. Quindi conosco la situazione attraverso quello che mi riferiscono i miei collaboratori. Quindi capita che io prenda decisioni impulsive. Comunque il dato che dice lei non è esatto. Si arriva a quel numero se si considera tutte le volte che per sostituire un allenatore ho chiamato temporaneamente il tecnico della squadra giovanile. In realtà, in media caccio un allenatore all’anno. E comunque avrò sbagliato in non più di cinque occasioni in tanti anni. In tutti gli altri casi ho fatto bene”.

Certo, questo suo carattere le costa un bel po’ di soldi!

“[Ride divertito, nda] Si è vero! Pago a caro prezzo il mio carattere. Ogni stagione mi tocca retribuire almeno due tecnici”.

Ha mai rimpianto di aver licenziato un allenatore?

“Io non ho rimpianti. Piuttosto ho il vanto di avere scoperto tanti allenatori che sono diventati famosi: da Zaccheroni a Ventura, da Spalletti a Guidolin. Anche quando li ho licenziati siamo sempre rimasti in eccellenti rapporti sul piano personale”.

In Francia lei gode di particolare attenzione da quando al Paris SG sono arrivati Sirigu e Pastore. Ci spiega cosa l’ha spinta, quando non erano conosciuti, a credere in loro?

“Il Palermo possiede un’organizzazione che lavora dodici mesi l’anno, soprattutto quando i mercati sono chiusi. Noi non possiamo permetterci di ingaggiare calciatori già affermati. Dobbiamo puntare su giovani di belle speranze, valorizzarli e dopo qualche anno fare una plus-valenza. Il Palermo è una squadra che ha bisogno di fare almeno 10 milioni di plus-valenze all’anno, altrimenti i conti sarebbero in rosso. Pastore e Sirigu avevano caratteristiche importanti e abbiamo puntato su di loro”.

Cosa è stato che l’ha indotta a credere da subito che Pastore fosse un fuoriclasse?

“Uno dei miei collaboratori mi aveva mostrato dei filmati di Pastori. Ora, deve sapere che io sono realmente un grande intenditore di calcio. Appena l’ho visto sono rimasto folgorato: un fuoriclasse! Siccome sono io in prima persona a decidere, l’ho fatto prendere subito. Ho avuto subito la conferma che Pastore era un fuoriclasse al primo allenamento. Ero a bordo campo: mi sono commosso nel vederlo per la prima volta, mai visto uno così. Divino”.

Di quali scoperte va maggiormente orgoglioso?

“Beh di giocatori ne ho scoperti tanti. Comunque direi Kjaer, Cavani, Hernandez”.


E’ ancora in contatto con Leonardo? Medita di concludere qualche altro affare con lui?

“Certo. Con Leonardo ci sentiamo almeno una volta ogni dieci giorni. Credo che faremo senz’altro altri affari assieme. Per esempio, a lui piace Balzaretti al quale non dispiacerebbe un trasferimento a Parigi visto che ha sposato un’étoile dell’Opera. Però deve pagarmelo la cifra giusta [Ride, nda]. Altrimenti resta a Palermo, visto che è un nazionale al quale sono molto affezionato. Poi c’è l’ipotesi Hernandez. Con Pastore a Palermo erano come due fratelli e la coppia si ricongiungerebbe volentieri. Comunque vedremo al prossimo mercato”.

Vuole spiegare ai lettori francesi com’è andata la vicenda Pastore, il problema con il suo procuratore?

“Ecco, mi dispiace aver dovuto coinvolgere involontariamente Leonardo in questa diatriba. Semplicemente le cose stanno così. C’è una norma Fifa che stabilisce che i procuratori non possono ricevere compensi sui trasferimenti dei calciatori. In Sudamerica viene aggirata attraverso società che acquistano la proprietà di una parte del cartellino dei calciatori. Simonian, il procuratore di Pastore, mi aveva detto che il trasferimenti di Pastore sarebbe saltato se non avessi firmato un certo documento che riconosceva a lui, il procuratore, certi diritti sul trasferimento. In realtà Pastore aveva già firmato col PSG. Quindi mi ha ingannato e praticamente teso una trappola. Io ho firmato per paura che saltasse tutto. Ma subito dopo l’ho denunciato. Ora vedremo come andrà a finire. Ho denunciato l’accaduto anche alla Fifa ma quelli non hanno fatto nulla. E’ uno scandalo ma a Blatter interessa solo procacciarsi voti quando ci sono le elezioni”.

Farebbe ancora affari con procuratori che detengono una parte del cartellino dei giocatori?

“Bisogna farli per forza. In Sudamerica questi procuratori vanno dalle famiglie dei calciatori di 16/17 anni e le costringono a cedere loro i diritti sui loro figli. Di solito si tratta di persone con problemi economici che accettano subito. Quindi siamo costretti ad avere a che fare con questi tipi. Dovrebbe essere la Fifa ad intervenire, facendo rispettare i suoi regolamenti”.

Qual è il mercato mondiale che più l’affascina?

“Dico ancora Sudamerica. Del resto, lo vede anche lei. Dei giovani talenti che circolano per l’Europa, su dieci almeno otto sono Sudamericani. Il motivo è che nella favelas si gioca a calcio, tutti sognano di sfondare. Qui da noi ormai nessuno gioca più nei cortili. Lo facevo io da piccolo e magari lei, ma i ragazzi oggi vanno alle scuole calcio”.

Il calcio è chiaramente una sua passione. Quali sono i suoi modelli calcistici, sia sul piano tecnico che manageriale?

“Sul piano manageriale mi ispiro alla mia esperienza come imprenditore. Più in generale le posso dire che amo il calcio spagnolo per la tecnica e quello inglese per la cultura dello sport. Quello che amo meno è proprio il nostro, quello italiano. In campo si cercano troppi sotterfugi, inganni. Poi non mi piace il nostro pubblico. Ma anche qui siamo alle solite: è tutto figlio della nostra società che non va”.

Ci racconta il progetto Palermo? Quali sono le vostre ambizioni?

“Beh se il tecnico attuale, Mangia, non si stufa di me e io di lui [Ride ancora, nda] l’obiettivo sportivo è la qualificazione alla Champions League. Lo scudetto no. Per quello servirebbe lo sceicco [Ride ripetutamente, nda]. A parte gli scherzi, credo che l’arrivo di stranieri in Italia sia difficile. A Roma sono arrivato gli americani, ma quelli l’hanno fatto perché è stata la banca a cercarli e a finanziare loro l’investimento. Gli stranieri da noi non arrivano perché non c’è meritocrazia. Prenda i diritti TV. A suo tempo, si decise di ripartire le risorse in base, tra l’altro, ai risultati sportivi degli ultimi cinquanta anni! Ma così si favoriscono sempre i soliti club. Per dire, se per assurdo il Palermo vincesse lo scudetto, continuerebbe a ricevere dalle TV una cifra enormemente inferiore a Milan, Inter e Juventus. In queste condizioni perché uno stranieri dovrebbe investire qua?”

Ogni tanto lei entra in polemica con i tifosi siciliani. Ci spiega perché?

“No guardi io ho un eccellente rapporto con la città di Palermo.Mi vogliono bene. Solo che ci sono certi siti Internet che danno voce ai tifosi che vogliono contestare. Sono un’infima minoranza ma sembrano in tanti. Io ce l’ho solo con quelli. Ma io adoro questa città”.

Spesso la sentiamo esprimere pareri anche su temi non calcistici. Ultimamente sta conducendo una battaglia contro Equitalia/Gerit. Ci racconta questa sua iniziativa e più in generale come vede il futuro dell’Italia?

“In un momento in cui l’Italia vive un momento di grande difficoltà, Equitalia/Gerit è una tragedia. E’ una società che si occupa del recupero crediti per conto dello Stato. Quando uno non riesce a pagare una multa oppure delle tasse arretrate si vede caricare sanzioni che in capo a poco tempo riducono il cittadino sul lastrico. Tempo fa avevo iniziato a fare un programma su Telelombardia per denunciare questo fenomeno ma hanno chiuso il programma su pressione del vertice di Equitalia. Allora, grazia a Radio Radio, una radio romana, ho deciso di lanciare un movimento per la gente. Ci occupiamo dei problemi dei cittadini comuni e ci sforziamo di trovare soluzioni. Lei mi dirà, ma chi me lo fa fare? A settanta anni ho capito che dobbiamo essere noi cittadini a prendere l’iniziativa e darci da fare. Intendiamoci, non entrerò mai in politica. Io voglio creare un movimento orizzontale non verticale. Ma alla mia età ho capito una cosa: un uomo non è felice se è ricco, ma solo se riesce a stare bene assieme agli altri”.

Per finire, non posso non chiederle un commento sulla sentenza del Tribunale di Napoli che ha condannato Luciano Moggi e molti altri protagonisti di Calciopoli.

“Sarò diretto. Per me è tutta colpa delle istituzioni del calcio. Che avrebbero dovuto tenere gli occhi aperti, controllare. Gli organi del calcio italiano si configurano come un sistema mafioso. Moggi era solo uno degli ingranaggi. Certamente più abile e furbo di tutti gli altri. Ma la vera colpevole era l’istituzione che ha tollerato tutto ciò”.

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